Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen (Ansa)

Tra Bruxelles e Roma

Le manovre europee contro il governo italiano in cui Meloni sarà coinvolta

Oscar Giannino

I gruppi europei delle diverse sinistre, e quello liberale di Renew Europe, hanno capito che la premier è la potenziale occasione per un ribaltone del Ppe rispetto alla “maggioranza Ursula” da cui è nata l’attuale Commissione europea. Così si spiegano gli attacchi da Francia e Spagna

Ci sono due modi di guardare alle polemiche che da Francia e Spagna si levano verso le politiche del governo Meloni. La prima è il riflesso condizionato dei vecchi cinegiornali. Gonfiarsi di orgoglio patrio, respingere sdegnati l’offesa alla gloriosa “Nazione”. Così fanno non solo esponenti della maggioranza, ma anche i media e non solo quelli in gara per dar voce alla destra. Torneo a cui non partecipo. C’è poi una seconda modalità: quella dell’osservatore che cerca di capire. Anticipo la conclusione: nei prossimi mesi le polemiche saranno sempre più puntute. Di mezzo non c’è il merito delle misure.


Misure su cui pure fioccano critiche. E, per essere onesti, chi scrive non ha dubbio con chi stare tra il segretario di Renaissance, Stéphane Séjourné, e i decreti-orrore del prefetto Piantedosi. Mentre difendo le misure semplificative delle causali nei contratti a tempo adottati dal decreto “Lavoro”, non certo la staffilata vibrata dalla ministra spagnola comunista del Lavoro Yolanda Díaz. Detto ciò, le polemiche sul governo Meloni hanno un altro fine. Ovvio che sia così. L’orgoglio nazionale non c’entra. I gruppi europei delle diverse sinistre, e quello liberale di Renew Europe, hanno capito benissimo che Giorgia Meloni è la potenziale occasione d’oro per un ribaltone del Ppe rispetto alla “maggioranza Ursula” da cui è nata l’attuale Commissione europea. Ed è stranaturale che d’ora in avanti sino alle prossime elezioni europee instancabilmente sottolineino coi toni più aspri possibili le posizioni più “identitarie” della leader di Fratelli d’Italia. Nell’attuale Parlamento europeo la somma di Ppe, sinistra S&D e dei liberali di Renew Europe ha eletto von der Leyen per soli 9 voti, perdendo ben 75 consensi di quelli che in teoria sommava.

 

Ma poiché Meloni, il cui partito è secondo come eletti del gruppo  dei Conservatori e Riformisti sin qui dominato dai 27 eletti polacchi, ma registrerà un balzo in avanti alle prossime europee, e visto che tutti si aspettano che anche diverse forze minori conservatrici andranno molto meglio del 2019, e inoltre ci sono possibili defezioni dal gruppo sovranista Identità e Democrazia in cui stanno Salvini, Le Pen e la destra estrema tedesca di AfD, ecco che per il Ppe l’occasione per un ribaltone a destra diventa più che possibile.

E’ su questo che lavora instancabilmente Meloni, con le sue visite nell’est Europa che non crede più alla motrice franco-tedesca alla luce di tutte le frenate dal pieno sostegno all’Ucraina venute in 15 mesi da Berlino e Parigi. La scelta decisiva per il Ppe è naturalmente quella della Cdu-Csu tedesca. La scorsa settimana, al congresso Ppe a Berlino è stato reso evidente che il leader del Ppe, Manfred Weber, lavora per il ribaltone. Il segretario della Cdu Friedrich Merz ha riconosciuto che “il governo Meloni si comporta in modo più ragionevole di quanto temessimo”. Mentre il leader della Csu, Markus Söder, che da sempre non sopporta Merz, ha preferito sparare contro Meloni: “Non riesco certo a immaginarla nel Ppe”. Söder pensa che la strada possa essere un’altra: non puntare su un’alleanza con i Conservatori ma sfarinarne il gruppo.

 

Ma le mire di Söder cozzano con il fatto che Macron non potrà mai dire sì alla premier italiana per troppi anni amicissima della Le Pen. Dall’atra parte anche per Weber la partita del ribaltone imperniato sul premier italiano non è scontata: nel Ppe il greco Mitsotakis, bulgari e croati non sarebbero contrari, ma il polacco Donald Tusk è lontano anni luce da valori e  politiche di Meloni, e lo stesso vale per i portoghesi. Ecco dunque che cosa alimenterà gli attacchi a Meloni: la grande partita per la nuova Commissione. Due cose sole sono oggi certe. Meloni rispetta le tre condizioni poste dal Ppe: essere pro europei, pro ucraini, rispettare lo stato di diritto. Salvini e i suoi alleati no. La seconda è che Cdu e Csu non sopportano più l’estremismo dirigista della “Commissione Timmermans” e mirano a rivedere le scelte del Fit for 55. Vani auspici finali: Roma ratifichi il Mes ed eviti toni da Istituto Luce. Rendono solo più facile il gioco di chi dipinge Meloni uguale all’amico di Putin, Salvini.