Le modifiche istituzionali
Basta tatticismi, avanti con le grandi riforme
L’Italia ha urgente bisogno di rafforzare i poteri dell’esecutivo, anche senza l’elezione diretta del premier. Parla Petruccioli, ex presidente Rai e parlamentare dell’Ulivo
Se qualcuno intende ostacolare Giorgia Meloni per ragioni di mero tatticismo politico e non per il merito delle riforme, per l’Italia sarebbe un vero e proprio harakiri”, parla così al Foglio l’ex presidente della Rai e parlamentare dell’Ulivo Claudio Petruccioli. “L’ultimo tentativo di riforma risale al referendum del 2016, il principale promotore era l’ex segretario del Pd Matteo Renzi, su impulso del Presidente Giorgio Napolitano che aveva rivolto un appello accorato al Parlamento. Le cose andarono male, sebbene tutti fossero mossi da ottimismo. Questa volta si comincia con una nota di pessimismo, mi viene da dire, con Nino Manfredi: fosse che fosse la volta buona…”.
Ogni volta che in Italia si prova a metter mano agli assetti costituzionali, parte la campagna contro l’uomo, o la donna, solo al comando. “E’ un pregiudizio che ha colpito tutti quelli che ci hanno provato, senza distinzioni tra destra e sinistra. Io sono uscito dal Parlamento nel 2005 e l’anno successivo, in occasione del referendum costituzionale voluto dal centrodestra, ho votato a favore sia del premierato che del superamento del bicameralismo perfetto. Ai tempi del tentativo renziano, l’ex premier era il segretario del principale partito della sinistra”.
A proposito di Renzi, ha notato che lui e Carlo Calenda la pensano diversamente sia sull’elezione diretta del premier che sulla diversificazione delle Camere (il primo vorrebbe rafforzare la Camera, il secondo il Senato). “Se due partiti dichiarano, a parole, di voler costituire insieme un aggregato liberaldemocratico capace di attrarre consensi, dovrebbero riuscire a mettersi d’accordo almeno sui fondamentali. Se così non è, fanno qualche danno al paese ma soprattutto a se stessi”.
Lei è a favore dell’elezione diretta del premier? “No, questo elemento non mi convince, non ne vedo l’utilità. Le coalizioni possono indicare i candidati premier, come già accaduto dal 1994 a oggi, o possono scegliere un criterio pragmatico come ha fatto il centrodestra nel 2022: il partito che prende un voto in più esprime il presidente del Consiglio”.
Però, a suo giudizio, il parlamentarismo, così com’è, non funziona. “E’ sotto gli occhi di tutti. L’Italia ha urgente bisogno di rafforzare i poteri dell’esecutivo. Tale consapevolezza, testimoniata dai plurimi tentativi di questi anni, sia attraverso commissioni bicamerali che per via referendaria, compare addirittura negli atti dell’Assemblea Costituente, con l’ordine del giorno presentato dal repubblicano Tomaso Perassi, che esprimeva l’opzione di una forma di governo parlamentare con una serie di presìdi volti a scongiurare la deriva parlamentarista. Era un timore presente già all’epoca. Ancor prima, in epoca fascista, si era posto il tema di modificare la base costituzionale allora rappresentata dallo Statuto albertino che, seppure di fatto sospeso, restava formalmente la legge fondamentale dello stato. Il 25 luglio del 1943 Mussolini viene deposto secondo le norme vigenti dello Statuto albertino. Questi conati di riforma costituzionale sono rimasti sempre senza esito”.
Oggi che Mussolini non c’è, prevale la minaccia di un ritorno al Duce? “Ma non scherziamo. Il presidenzialismo è stato discusso seriamente in seno alla Costituente da autorevoli voci che nulla avevano a che fare con la destra o con le tentazioni autoritarie. Per intenderci, il giurista Piero Calamandrei era favorevole a un sistema presidenziale”.
Quali nuovi poteri andrebbero conferiti all’esecutivo? “Sono d’accordo con Luciano Violante, non per comunità di origine, ma per ciò che ha detto al vostro giornale. Servirebbero alcuni accorgimenti chiari: la sfiducia costruttiva, la differenziazione netta tra Camera e Senato, la fiducia votata, in seduta comune, al solo presidente del Consiglio che successivamente forma il governo e che dovrebbe avere anche potere di revoca dei ministri”.
Il senatore Marcello Pera, invece, resta un fautore del presidenzialismo all’americana. “Mi ha colpito la facilità con cui Pera, di cui pure ho stima, fa riferimento al modello Usa. Inviterei a rileggere la ‘Democrazia in America’ di Tocqueville: quella forma di governo è strettamente legata alla storia degli Stati Uniti e alla genesi dei singoli stati sin dalla ribellione alla Corona britannica. E’ un caso unico nel mondo. Noi dovremmo misurarci con i paesi della nostra parte del mondo, con i modelli che scaturiscono dalla crisi delle grandi monarchie francese, spagnola, inglese, tedesca. Come ha osservato più volte Giuliano Amato, l’Italia ha sì perso la Seconda guerra mondiale ma poi, a differenza delle altre potenze dell’Asse, Germania e Giappone, è stato l’unico paese a dotarsi autonomamente di una propria Costituzione”.