L'intervista
"Sulla Rai, il M5s non aiuti la destra". Parla Nicita (Pd)
L'astensione del consigliere in quota grillina nel cda Rai lascia intendere la disponibilità del M5s a trattare sui palinsesti con il centrodestra. Pd preoccupato: "Su temi così delicati le opposizioni dovrebbero andare uniti"
“L’astensione non ha davvero nessun significato perché le ipotesi sono due: o si ritiene che questo metodo va bene, e allora non c’è motivo di non votare a favore o, se si hanno delle riserve, si devono manifestare anche nel metodo, votando contro, in attesa di giudicare nel merito quando i nuovi vertici inizieranno a lavorare”. Antonio Nicita, senatore del Pd, ex commissario Agcom e membro della commissione di vigilanza Rai non ha digerito la scelta di Alessandro Di Majo. Il consigliere del Cda Rai in quota M5s si è astenuto ieri sulla nomina del nuovo ad voluto dal centrodestra Roberto Sergio. Il voto è stato interpretato come una disponibilità a trattare del M5s – il cda infatti rimarrà lo stesso e per qualsiasi decisione il voto di Di Majo potrebbe risultare fondamentale.
Inoltre, ha confermato un’impressione che in queste settimane si fa di giorno in giorno più forte e comincia a infastidire diversi esponenti dem. Al di là delle dichiarazioni altisonanti contro il governo, Conte, quando si tratta di posti, è ben disposto a trattare con FdI, Lega e FI. Dalla nomina dell’ex ministro della Giustizia Alfondo Bonafede, eletto anche con i voti del centrodestra (e non con quelli del Pd) come membro laico del consiglio di presidenza della giustizia tributaria, fino al voto di ieri a viale Mazzini. “Mi auguro che nessuno voglia mettere al centro un tema spartitorio piuttosto che il rispetto del pluralismo”, ammonisce Nicita consapevole di una trattativa che sembra appena cominciata. Poi nel merito ribadisce: “Non si arriva alla designazione del nuovo ad Rai con un percorso normale, già di per sé questa è una situazione anomala sotto il profilo tecnico, lo hanno detto anche i 5 stelle, proprio per questo l’astensione solleva degli interrogativi, tanto più se si considera che (dato che le astensione valgono comunque come un voto contrario ndr) questa decisione ha costretto la presidente Soldi a essere decisiva”.
Come un avvertimento grillino alla destra: per avere la maggioranza in cda serviamo anche noi! Il senatore dem avrebbe auspicato sul dossier Rai un metodo molto diverso. “Le opposizioni su un tema così delicato dovrebbero coordinarsi e andare unite, perché qui c’è in ballo il pluralismo politico: o lo si chiede o no, e oggi (ieri per chi legge ndr) qualcuno ha preferito non farlo”. E d’altronde il M5s sul tema della tv pubblica è sempre molto attento. Nicita per esempio non ha dimenticato i tempi del governo gialloverde (all’epoca era commissario all’Agcom) quando, Lega e 5 stelle andavano d’accordo anche sulla tv. Coincidenze, il protagonista di questi giorni, Fabio Fazio, finì all’attenzione dell’autorità: “Un servizio del Tg2 (diretto allora dall’attuale ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ndr) – racconta – prendeva sostanzialmente in giro Fabio Fazio che intervistava il presidente della repubblica francese Emmanuel Macron”.
La preoccupazione è che il tatticismo grillino, oggi che Schlein ha mangiato molti spazi a sinistra, possa essere un enorme ostacolo alla compattezza delle opposizioni. “Se si segue la tattica il rischio enorme è che a breve si riproporrà una frammentazione delle minoranze di cui si gioverà solo la maggioranza di governo”, dice Nicita.
Non c’è solo il M5s nella vicenda Rai ad aver turbato un pezzo di Pd. Anche il comportamento dell’ad Carlo Fuortes, che con le sue dimissioni ha dato il via al cambio ai vertici, ha generato malumori. Dice il senatore dem: “Non era mai accaduto che un ad mollasse così senza motivo, con ricostruzioni giornalistiche preoccupanti e un decreto retroattivo sui teatri lirici, secondo la stampa, pensato per trovargli un alternativa. Lui ha detto di no, ma se davvero andasse al San Carlo sarebbe gravissimo”. Formalmente comunque Fuortes ha detto di essersi dimesso perché non riusciva ad approvare il piano industriale. “Una ragione in più per restare piuttosto, anche perché il cda non lo ha mai attaccato”.