Anpal e autonomia, manine e manate. Le tre zuffe tra Lega e FdI
Dalla mossa della ministra Calderone sullo smantellamento dell'Agenzia per le politiche attive fino al documento del Senato sull'autonomia differenziata, la comunicazione tra alleati di governo denuncia qualche frizione di troppo
La battuta, ad Arturo Scotto, è venuta spontanea: “Ma almeno tra di voi parlatevi”. Cattiveria da opposizione, si dirà. E ci sta. Però davvero la comunicazione tra alleati – quelli della destra – denuncia qualche frizione di troppo, nel governo. Altrimenti come spiegare la freddezza con cui Walter Rizzetto, deputato meloniano sempre sul pezzo, ha risposto alle richieste di chiarimento che proprio il capogruppo del Pd in commissione Lavoro, ieri mattina, ha avanzato. “Noi siamo qui a discutere della riforma dello statuto dell’Anpal e veniamo a sapere che nel frattempo l’Anpal, il governo, vuole sopprimerla. Ma ci prendete in giro?”, ha chiesto Scotto. Al che Rizzetto, che di quella commissione è il presidente, s’è stretto nelle spalle: “Non ne so nulla neppure io. Provvederò a chiedere informazioni al governo”.
E se ne era all’oscuro lui, che è di FdI, figurarsi leghisti e forzisti. La mossa del ministro Elvira Calderone, che martedì pomeriggio ha fatto sapere per le vie brevi al commissario dell’Agenzia nazionale per le politiche attive, Raffaele Tangorra, che la baracca stava per essere smantellata d’imperio, ha sorpreso anche Claudio Durigon, che pure di Calderone è vice al ministero. Il salviniano dissimula come può, ufficialmente, parlando di “un percorso condiviso”, ma coi suoi compagni di partito si sfoga senza nascondere il suo risentimento. Di mezzo ci sono questioni tecniche, certo: c’è il trasferimento di oltre 200 dipendenti di Anpal nella direzione generale delle Politiche attive, col rischio quasi scontato di ricorsi e contenziosi; e c’è poi l’incognita legata agli obiettivi legati al Pnrr – il programma Gol, nella fattispecie, con 4,4 miliardi di euro europei in ballo – di cui proprio l’Agenzia era il principale responsabile. Ma oltre a questi, che pure contano, ci sono poi i problemi politici.
Perché dopo aver avviato il commissariamento d’imperio di Inps e Inail, Calderone punta “ad allargarsi un po’ troppo”, dicono nel Carroccio. Dando voce a un malcontento che è lo stesso che attraversa anche Forza Italia, se è vero che Paolo Zangrillo, il ministro azzurro della Pa, nell’apprendere che i blitz della sua collega del Lavoro si sarebbe realizzato tramite un emendamento del governo a l dl 44, quello appunto sulla Pubblica amministrazione, ha scosso il capo e ha spiegato ai suoi collaboratori che “no, io non ero stato informato”. Col risultato, ora, che Calderone sta valutando se forzare la mano su quel provvedimento o se inserire quell’emendamento in un altro decreto, quello che dispone appunto il commissariamento di Inps e Inail.
E uno dice: vabbè, incomprensioni, innocenti malintesi. E però forse c’è qualcosa in più, in questa fase, tra FdI e il resto della coalizione, se è vero che perfino i vertici della comunicazione meloniana a Palazzo Chigi, nelle scorse ore, rivendicavano con un ghigno malandrino che “la diffusione del dossier sull’Autonomia non è stata propriamente casuale”. Messaggio che alle orecchie dei leghisti dovrà arrivare come un dispaccio neppure troppo cifrato: dunque davvero quell’analisi del Servizio bilancio del Senato che evidenzia i costi e le storture del disegno di legge calderoniano sull’Autonomia differenziata non è stato reso pubblico per una svista, ma una studiata cattiveria patriottica. Fatto sta che nel partito di Via della Scrofa al di là della regia dell’inciampo si prendono a spunto i rilievi per chiedere di rimettere le mani sull’Autonomia. Un modo per mandare ai matti gli uomini di Matteo Salvini. Pronti a mandare messaggi a Giorgia Meloni. Sarà un caso, ma dopo il ko della maggioranza sul Def l’unico a non aver avuto ancora il tempo di incontrare il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani è stato il capogruppo della Lega Riccardo Molinari. Manine e manate. Come lo stop arrivato – ma smentito ufficialmente – dal Quirinale al decreto bollette per via di quattro articoli non omogenei. Il testo tornerà in commissione e dal governo masticano amaro: “Parliamo di emendamenti votati all’unanimità, se non andavano bene potevano dircelo prima”.