Il caso
M5s, addio mito delle restituzioni. La quota scende a 500 euro, ma nessuno versa. Conte compreso
Con le nuove regole i parlamentari daranno 2.000 al mese al partito e una minima parte da destinare ai progetti sociali. Ma il meccanismo non riesce a partire
I neo parlamentari del M5s non hanno ancora versato un euro al partito e nemmeno la quota, sempre più piccola, destinata alla collettività. Strano, ma vero. Tutta colpa del burocratico meccanismo che regola la vita della creatura di Giuseppe Conte. Per una questione legata al rimpallo fra l’organismo di garanzia e il capo politico, il nuovo regolamento non è stato ancora applicato. E così da quando è iniziata la nuova legislatura le truppe pentastellate si godono lo stipendio per intero senza dover sottostare al cespuglioso mondo delle restituzioni. Una volta marchio di fabbrica della presunta diversità del M5s, l’unico partito che si tagliava lo stipendio per donarlo agli italiani bisognosi.
Dietro al rodeo degli scontrini che non tornavano o alle rendicontazioni farlocche (nonostante il sito) si sono consumate carriere e cacciate. Figure barbine e continue nemesi. Di pari passo con la difficile autodisciplina dell’onestà e del buon esempio, i grillini però nelle ultime due legislature hanno restituito alla collettività decine e decine di milioni di euro. Sia con donazioni al fondo del microcredito, sia con progetti sociali mirati. Un’altra epoca. Da ottobre si è deciso di nuovo di cambiare. I parlamentari sono obbligati a tagliarsi dallo stipendio tutti i mesi 2.500 euro. Tuttavia di questa cifra solo un quinto, cinquecento euro, sarà girato alla collettività. Il resto, cioè il grosso, è destinato alle casse del partito alle prese con costi fissi altissimi. Non tanto per la sede, ma soprattutto per il personale.
A fronte di 52 deputati e 28 senatori, moltissimi ex non più ricandidabili per via della regola del secondo mandato sono rimasti sul groppone del M5s. Stipendiati dai gruppi parlamentari, infilati come assistenti nelle varie commissioni, negli uffici legislativi, nelle segreterie. Tutta colpa delle percentuali raggiunte alle ultime politiche (15 per cento) e del taglio dei parlamentari, voluto proprio dal M5s. Sicché sono aumentate le spese e diminuite le entrate. Al punto di dover quasi fare a meno del cavallo di battaglia delle restituzioni ai cittadini. Ricordate i flash mob con i maxi assegni e tutti i parlamentari sorridenti dietro per la foto social di rito? Altri tempi. Con il passare del tempo la “quota gentismo” si è sempre più rimpicciolita.
Si è passati da 1.500 a 1.000 euro fino adesso a cinquecento. Tutto per garantire il funzionamento del partito. Un lento ma inesorabile cambiamento di pelle passato anche dall’accettazione del due per mille, altro tabù della diversità caduto davanti ai conti della serva. Adesso si assiste a un ennesimo paradosso. Per via del cervellotico statuto contiano le nuove regole non sono state ancora applicate. E così capita di incontrare parlamentari al primo mandato abbastanza sollevati. Sanno che dovranno pagare tutti insieme gli arretrati, ma per il momento si godono lo stipendio pieno. Altri i primi premurosi hanno accantonato i soldi che prima o poi dovranno dare indietro in un fondo quotato in borsa: bloccano lì venti o trentamila euro e intanto percepiscono gli interessi del loro investimento e quando Conte batterà cassa ci avranno comunque un po’ guadagnato.
I parlamentari alla seconda legislatura invece continuano a versare con la vecchia norma (1.500 più 1.000) e si preparano a conguagli. Anche se c’è ancora una quota furbi che è indietro. Tuttavia non essendoci più un sito dove vedere le rendicontazioni tutto è gestito con trattativa privata, senza l’onta di passare per morosi. Come si cambia. Dal pauperismo alla normalizzazione. Neanche Conte finora ha restituito un euro, racconta un collaboratore dell’ex premier. “In attesa che entri a regime il nuovo sistema”.
Ma perché è tutto bloccato? Da una parte è colpa del rimpallo fra il comitato di garanzia (Roberto Fico, Laura Bottici, Virginia Raggi con l’ex sindaca che fa opposizione interna: ha votato contro le nuove regole per la restituzione e intanto è in tour per l’Italia a promuovere un progetto sulle donne) e dall’altra dalla trattativa sotterranea messa in campo da Vito Crimi. L’ex reggente ed ex parlamentare sta trattando con i vari consigli regionali per cercare di uniformare la cifra da restituire al partito. I deputati dell’Ars per esempio danno indietro in tutto meno di mille euro a fronte di uno stipendio praticamente uguale a quello degli eletti a Montecitorio e a Palazzo Madama. Insomma, il buio oltre gli scontrini. Cosa ne pensa Beppe Grillo?