L'editoriale del direttore
Contro l'Italia del disfattismo. Cinque lezioni dall'Emilia-Romagna
I soldi per la ricostruzione ci sono, ma bisogna saperli spendere. L’acqua non manca, ma bisogna saperla trasformare in una risorsa. Ecco come allontanare l’opinione pubblica delle false verità sulle alluvioni di queste settimane
Le drammatiche alluvioni che hanno colpito l’Emilia-Romagna hanno contribuito a mettere in evidenza alcune false verità che riguardano il nostro paese. La prima falsa verità riguarda una lagna spesso ricorrente nel dibattito pubblico direttamente collegata a un’espressione che non potremo più utilizzare: in Italia i soldi non ci sono. Abbiamo visto invece che, sul dossier del dissesto idrogeologico, ma non solo su quello, i soldi in Italia ci sono eccome (dal 2018 a oggi il nostro paese ha lasciato fermi nelle casse statali circa 8,4 miliardi di euro che potevano essere utilizzati per la mitigazione del rischio idrogeologico) e il vero dramma dell’Italia quando si parla di denaro pubblico è semmai un altro: assecondare l’inefficienza della burocrazia statale. Un tema che purtroppo rischia di tornare di attualità in una stagione politica dominata da un’incapacità simmetrica dell’Italia sul fronte del Pnrr. In sintesi: avere molti soldi dall’Europa ma non essere in grado di spenderli.
La seconda falsa verità riguarda una balla grande come una casa ripetuta spesso nelle occasioni in cui i protagonisti del dibattito pubblico discutono di siccità. Purtroppo, lo abbiamo visto in modo drammatico in queste settimane, il guaio dell’Italia non è essere a corto di acqua ma è essere incapaci di trasformare l’acqua, presente nel nostro paese, in una risorsa da sfruttare. E se si pensa che ogni anno in Italia cadono dal cielo circa 300 miliardi di metri cubi di acqua piovana e che il fabbisogno di acqua che avrebbe l’Italia, tra agricoltura, industria e usi potabili, è di circa 30 miliardi di metri cubi all’anno si avrà la perfetta fotografia di come la catastrofe dell’efficienza, nel nostro paese, sia un tema non meno grave delle catastrofi causate dalle alluvioni (anche perché il cambio climatico, evidentemente, accentuerà questa alternanza tra periodi di siccità e piogge torrenziali e a maggior ragione diventerà doppiamente importante realizzare invasi e altre infrastrutture per catturare e trattenere l’acqua, rendendola così disponibile quando serve e quando non piove).
La terza falsa verità riguarda un tema legato a un'espressione divenuta ormai sinonimo di malaffare, “il consumo del suolo”, e che però, se applicata al contesto dell’Emilia-Romagna, assume un’altra dimensione. Michele Munafò, responsabile del rapporto sul consumo di suolo dell’Ispra, ha ricordato, la scorsa settimana, che “le frane avvengono prevalentemente nelle zone montane e collinari dove il consumo di suolo è più ridotto” e non è difficile intuire che le aree a rischio sono più che quelle disboscate quelle che l’uomo sceglie di lasciare al proprio destino illudendosi che la natura non sia mai matrigna (le cause del dissesto, scrive ancora Ispra, vanno ricercate, in primo luogo, nelle condizioni fisiche del territorio italiano: geologicamente giovane e tettonicamente attivo, costituito per il 75 per cento da colline e montagne). La quarta falsa verità emersa in questi giorni riguarda un tema sollevato spesso nelle ultime settimane: il dovere di collegare i fenomeni alluvionali esclusivamente al cambiamento climatico. Paride Antolini, presidente dell’Ordine dei geologi dell’Emilia-Romagna, in una intervista al Corriere della Sera ha ribaltato l’ordine dei fattori, dicendo esplicitamente che in questo caso “il cambiamento climatico non c’entra nulla: è un problema di manutenzione, come le strutture, anche i terreni perdono le loro caratteristiche con il tempo, e se non li si osserva, non si può intervenire”. Sottinteso: il cambiamento climatico è un problema vero, ovvio, ma pensare di risolvere i problemi pratici, che riguardano la manutenzione del territorio, volando alto e non guardando in basso è un modo come un altro per deresponsabilizzare la nostra classe politica, consentendole di occuparsi molto della ricerca di capri espiatori e poco della ricerca di soluzioni.
La quinta falsa verità riguarda un tema controintuitivo, complicato da mettere a fuoco ma necessario da analizzare. Un tema che riguarda non la fragilità di un paese come l’Italia ma la sua straordinaria capacità ad adattarsi alle trasformazioni del suo territorio. L’Ispra ci ricorda da tempo che complessivamente il 93,9 per cento dei comuni italiani (7.423) è a rischio per frane, alluvioni e/o erosione costiera. Che 1,3 milioni di abitanti sono a rischio frane e che 6,8 milioni di abitanti sono a rischio alluvioni. E a fronte di questi dati, pensare che tra il 1971 e il 2021 i morti registrati a causa di eventi legati a frane e alluvioni sono stati contenuti rispetto alla popolazione enorme esposta a pericoli (4 al mese in media) ci permette di cogliere un’attitudine importante del nostro paese visibile quando l’Italia dell’efficienza, delle grandi opere, del Mose, delle dighe, delle bonifiche, prende il sopravvento sull’Italia della burocrazia: il suo genio idraulico. Le alluvioni di queste settimane resteranno nella nostra memoria per le ferite create all’Emilia-Romagna. Ma resteranno nella nostra memoria anche per aver illuminato alcune balle che hanno contribuito in questi anni a rendere l’Italia ostaggio dei professionisti del disfattismo, abituati a ricercare più capri espiatori che soluzioni e incapaci di trasformare quando possibile anche una tragedia in un’opportunità utile ad allontanare l’opinione pubblica dall’Italia delle false verità.