Comunali in Sicilia. Meloni vince la sfida di Catania, sorride un po' meno negli altri capoluoghi al voto
Plebiscito in favore di Trantino ai piedi dell'Etna. Mentre il Pd è reduce da una serie di sconfitte nell’Isola, per i grillini la delusione è doppia: le percentuali delle politiche di settembre si sono sgretolate assieme al Reddito di cittadinanza
Due indizi fanno una prova: Catania è una città a forte vocazione di destra. Il comizio della Meloni, scesa fino in Sicilia, venerdì scorso, per mettere il cappello sulla vittoria al primo turno di Enrico Trantino, fa il paio con la larghissima affermazione nelle urne, che ha portato l’avvocato e figlio d’arte sulla poltrona più alta di Palazzo degli Elefanti. Non c’è stato bisogno di ricorrere al ballottaggio, date le percentuali bulgare. Al figlio di Enzo, storico esponente dell’Msi e di Alleanza nazionale, è andato oltre il 60 per cento dei consensi (secondo la legge elettorale regionale sarebbe bastato il 40 per scampare al secondo turno). Staccatissima la truppa del campo progressista, che per l’occasione ha schierato ai nastri di partenza il docente universitario Maurizio Caserta, sostenuto da Pd e Cinque Stelle, che solo Giuseppe Conte nell’ultima settimana di campagna elettorale aveva provato a rianimare (la Schlein era rimasta in Emilia-Romagna).
Il plebiscito in favore di Trantino aggiunge un tassello alla collezione dei successi elettorali del centrodestra in città: prima di lui ha amministrato per qualche anno Salvo Pogliese, messo fuori gioco da una condanna per peculato e dalla Legge Severino, che l’ha indotto a dimettersi dopo un paio di sospensioni dall’incarico (per lui pronta “ricompensa” al Senato). In passato, dal 2008 al 2013, era stato il turno di Raffaele Stancanelli, attuale eurodeputato di Fratelli d’Italia. Tutti patrioti affermati. Il successo della Meloni non è una sorpresa e, alla luce degli ultimi risultati ottenuti alle amministrative (comprese le sconfitte di Roma, Milano, Torino e, per ultima, Brescia), si capisce perché la premier abbia tirato la corda più del necessario per imporre il nome del candidato sindaco, conteso in maniera forzuta da Salvini.
Catania, da oggi, diventa il comune più popoloso amministrato da FdI, che in Sicilia si sta facendo largo a scapito dei partiti più moderati come Forza Italia, che da sempre ha avuto da queste parti il suo bel granaio di consensi. I voti di lista non potranno che confermare l’avanzata dei patrioti, la tenuta della coalizione guidata da Schifani alla regione e, soprattutto, il de profundis di Pd e Cinque Stelle. Se il partito della Schlein è reduce da una serie di sconfitte abbastanza evidenti nell’Isola, per i grillini la delusione è doppia: le percentuali ottenute alle politiche del settembre scorso, intorno al 28 per cento, si sono completamente sgretolate assieme al Reddito di cittadinanza, fatto a pezzi da Meloni.
Fratelli d’Italia sorride un po’ meno negli altri capoluoghi al voto. Si rivela un buco nell’acqua, infatti, la candidatura di Giovanni Cultrera a Ragusa: vince, rivince ma soprattutto stravince il sindaco uscente Peppe Cassì (oltre il 60 per cento), che cinque anni fa aveva ricevuto anche il sostegno di FdI, e che questa volta ha voluto mantenere la sua connotazione “civica”. Al suo fianco, però, schierava un paio di liste civetta, espressione della Democrazia Cristiana di Totò Cuffaro e del “meridionalista” Cateno De Luca. A Trapani si deciderà in volata: qui il meloniano Maurizio Miceli insegue l’uscente Giacomo Tranchida, espressione del Partito democratico, che flirta con la vittoria al primo turno. Siracusa è un altro esperimento parzialmente congelato per il centrodestra: nella patria di Archimede, infatti, non è bastata l’intera coalizione a supporto di Ferdinando Messina (Forza Italia) per superare la concorrenza di Francesco Italia, sindaco uscente e calendiano doc. Saranno loro due a contendersi l’elezione fra quindici giorni.
Ultima chicca da segnalare: Cateno De Luca, che a livello nazionale è sempre più in asse con Letizia Moratti e spinge per un contenitore unico alle europee – sul modello dell’equità territoriale – diventa sindaco del “suo” quarto comune. Lo Sgarbi di Sicilia aveva già amministrato Fiumedinisi, Santa Teresa di Riva e la ben più celebre Messina: da domani sarà il turno di Taormina, la perla dello Ionio. Nel frattempo è parlamentare all’Ars, per effetto della sconfitta patita da Schifani alle regionali, quando si candidò alla presidenza sotto le insegne di “Sud chiama Nord”.