Sul Pnrr si accende lo scontro tra Fitto e Salvini
"Quello bravo", ironizza l'uno. "Un pugile suonato", dice l'altro. Il leader della Lega e il ministro per gli Affari europei al centro delle tensioni tra Lega e FdI. C'entra il Recovery, ovviamente, ma anche la strategia delle alleanze europee. E nel Carroccio c'è chi evoca la decapitazione del meloniano
Uno dice dell’altro che è un “pugile suonato”. E questo, parlando di quello, lo chiama “quello che sa tutto”. Entrambi, però, stando bene attenti a non nominarsi in modo esplicito. E insomma tra Raffaele Fitto e Matteo Salvini va avanti così: una tenzone sottaciuta, fatta di allusioni velenose. E non da oggi, se è vero che l’avvio ufficiale delle ostilità, tra i due, risale a oltre due anni fa, e ha a che vedere con quella strategia delle alleanze europee su cui il leader della Lega ancora continua ad annaspare, come dimostra il Consiglio federale del Carroccio di ieri. E allora forse è fatale che ora, sul più delicato dei dossier, quello del Pnrr, le tensioni rischino di deflagrare. Ed ecco spiegata, allora, la perfidia del colonnello salviniano che, poco fuori da Montecitorio, evoca addirittura “la decapitazione” di Fitto.
Regicidio figurato, s’intende. Ma nella giornata in cui alla Camera si avvia la discussione della nuova mozione del Pd che incalza il governo sull’attuazione del Pnrr, va appuntata la malizia del deputato leghista: “Fitto si è convinto di essere come Luigi XIV: il Pnrr c’est moi. Se ora scopre di essere invece Luigi XVI, la testa sulla ghigliottina sarà la sua”. Chissà. Di certo c’è però una involontaria convergenza di vedute tra Lega e FdI, se è vero che perfino Giorgia Meloni è convinta che proprio sul Pnrr si cercherà di far leva, in vista delle europee del 2024, per destabilizzare la sua maggioranza.
Salvini, in ogni caso, ai suoi parlamentari ha imposto la consegna del silenzio, sul tema. Solo che a volte perfino l’eccesso di zelo diventa sospetto. E così, a fronte di una mezza dozzina di ministri che, sulle proposte di modifica dei progetti finanziati coi soldi del Recovery, ha mancato la scadenza suggerita da Fitto del 24 maggio, il segretario del Carroccio ci ha tenuto a mostrare invece la massima solerzia, dicendosi pronto non solo a eseguire tutti i piani previsti per il suo dicastero dei Trasporti, ma perfino a drenare eventuali ulteriori risorse che dovessero essere disimpegnate dalla revisione del Pnrr. Uno sfoggio d’efficienza – reale o presunta, si vedrà – rivendicato anche sul Codice degli appalti. “Quell’obiettivo del Pnrr dipendeva dai nostri uffici, e lo abbiamo centrato in pieno rispetto del programma”, ci tiene a sottolineare Salvini. Come a dire: il mio l’ho fatto. E il resto? “Ah, sul resto chiedete a Fitto, è lui quello bravo”, sibila il leader della Lega.
E lui, “quello bravo”, in effetti non si risparmia. Sollecita i colleghi di governo, li tempesta di telefonate, convoca sindacati e presidenti di regioni, come è avvenuto ieri. E anche se, per dirla con un governatore di centrodestra, “a volte l’impressione è quella di una affannata corsa sul posto”, non c’è dubbio che Fitto le stia tentando tutte, per trovare il filo che disbrogli la matassa del Pnrr e dei fondi di coesione europei. E forse anche per questo gradirebbe talvolta un maggiore sostegno dagli altri ministri. Come dimostra la faccenda dei balneari: inutile pietra d’inciampo lasciata lì sul sentiero della diplomazia tra Roma e Bruxelles, a complicare relazioni vitali anche per il Pnrr. E così, quando il 20 aprile scorso la Corte di giustizia europea ha emesso la prevista sentenza sulle concessioni dei lidi, evidenziando l’insostenibilità delle proroghe volute da buona parte della destra, Fitto s’è meravigliato non poco del fatto che, nella Lega, ci sia stato chi ha esultato di fronte alle minime aperture da parte dei giudici di Lussemburgo. E quando i suoi colleghi di FdI gli hanno chiesto se non fosse il caso di unirsi, pure loro, a quel coro di festeggiamenti, lui li ha stoppati: “Sarebbe come se un pugile, dopo che ha preso cazzotti per nove riprese, poi alla decima, col volto tumefatto di sangue, mette a segno un colpetto, e allora grida: ‘Ho vinto l’incontro’”. E ovviamente nessuno lo ha sentito nominare Salvini, ma il riferimento era fin troppo evidente.
D’altronde, l’astio reciproco non nasce certo col Recovery. Era l’aprile del 2021 quando Salvini s’era lasciato persuadere dal fido Lorenzo Fontana che davvero ci fossero i margini per allestire un grande gruppo unico degli euroscettici, che accogliesse sotto lo stesso vessillo i conservatori cechi e polacchi, i sovranisti come Marine Le Pen, e gli apolidi nazionalisti fedeli a Viktor Orbán. Significava smantellare i gruppi di Ecr e quello di Id, e in sostanza sottrarre a Meloni quel vantaggio tattico che le garantiva l’essere la leader di un partito europeo che, a differenza della compagnia di estremisti della Lega, non venisse relegata nel circolo dei reietti a Bruxelles. Salvini volle crederci, e organizzò perfino un viaggio a Budapest con grande pompa, foto di rito e abbracci festosi insieme a Orbán e al polacco Mateusz Morawiecki. Al dunque, però, non se ne fece niente. Anche perché, e non è solo un sospetto leghista, fu proprio Fitto a sabotare l’operazione.
Che, per quanto azzardata, resta comunque l’unica opzione che Salvini continua a contemplare. Lo si è capito anche ieri, nel corso del Consiglio federale a Via Bellerio, quando il segretario, dopo oltre un mese di discussioni sul ricollocamento del Carroccio a Bruxelles, ha spiegato che no, di abbandonare la Le Pen non se ne parla, e di pietire una benedizione dal Ppe neppure. “Ma certo come Lega dovremo pesare di più. E potranno esserci dei rimescolamenti a destra dei Popolari”. Il tutto passerebbe per una coabitazione europea tra Lega e FdI: e non è detto che a Fitto, e a Meloni, l’idea piaccia granché.