i rapporti con pechino
Copasir? Dibattito in Aula? Nessuno sa uscire dalla Via della Seta, pare
Meloni vuole un “passaggio parlamentare” per decidere sull'intesa firmata nel 2019 con la Cina. Nel frattempo, c’è chi lavora alacremente per restare, a cominciare dall'ambasciatore cinese in Italia, che chiede al mondo del business italiano di "calmare l'opinione pubblica negativa"
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha ancora poco più di sei mesi per decidere se e come uscire dal progetto strategico cinese della Via della Seta, ma ha già più volte ripetuto che sul memorandum – firmato il 23 marzo del 2019 dall’allora primo governo Conte e che si rinnoverà automaticamente a dicembre, a meno di una comunicazione formale a Pechino – serve “una attenta riflessione”. L’ha ripetuto anche ai partner del G7 di Hiroshima, che si è svolto il 19 e 20 maggio scorsi, e in conferenza stampa prima di lasciare il Giappone. Serve tempo per decidere, ha detto Meloni, ma poi ha parlato di un “passaggio parlamentare” necessario, cioè quello che secondo la presidente del Consiglio sarebbe mancato quando l’accordo, fortemente voluto e sostenuto dal M5s, è stato firmato.
Ma in cosa consista, questo “passaggio parlamentare”, è ancora materia confusa. Ci sarà una discussione in Aula? Una mozione? Oppure semplicemente un passaggio al Copasir del memorandum? A sentire chi segue la materia tra i banchi di Fratelli d’Italia, non c’è ancora una decisione in merito: sembra per ora un’opzione fumosa, tutt’altro che decisa. Tra i banchi dell’opposizione, però, ci si aspetta un vero dibattito parlamentare, e quindi una risoluzione – uno strumento che obbliga al dibattito, certo, ma con il quale il governo ha avuto una brutta esperienza durante il voto sullo scostamento di bilancio del Def, a fine aprile. C’è chi parla poi di un unico passaggio al Copasir, che già in passato si è espresso contro le ingerenze russo-cinesi. In ogni caso, se la decisione dovesse passare per il Parlamento, a contare i favorevoli il risultato sarebbe piuttosto chiaro: la maggioranza voterebbe per l’uscita dalla Via della Seta.
Al G7, il secondo più serio debutto di Meloni sulla scena internazionale dopo il G20 di Bali, la presidente del Consiglio ha cercato di offrire un’immagine di forza e sostanza (le affettuosità con Biden ne sono una dimostrazione), trainata dalle posizioni incrollabili sulla difesa dell’Ucraina. Gli alleati del summit, durante i bilaterali, hanno evitato di fare una domanda esplicita sulla decisione di Palazzo Chigi in merito alla Via della Seta – “l’aggressività non ha pagato nel marzo del 2019”, dice una fonte al Foglio – ma hanno detto chiaramente a Meloni che “seguono la vicenda da vicino”. L’opzione del passaggio parlamentare, che darebbe formalmente più legittimità alla decisione del governo italiano, ma soprattutto distribuirebbe la responsabilità agli occhi della Repubblica popolare cinese, sarà di certo presa “dopo la missione di Meloni a Washington”. Ma non è detto che fuori dai confini italiani la decisione di Palazzo Chigi di usare il dibattito in Parlamento sia una formalità apprezzata: l’immagine della presidente del Consiglio che su una questione così dirimente a livello internazionale si affida all’Aula ricorda a qualcuno quella di Barack Obama nel 2013, che per decidere sull’intervento in Siria si affidò al Congresso anche senza averne bisogno, di fatto rimandando e indebolendo l’iniziativa militare. La figura di Meloni, fino a oggi considerata un fronte atlantista contro la Russia, potrebbe cedere terreno a forza di cercare una terza via nei rapporti con la Repubblica popolare cinese. Non è stata infatti ancora archiviata, tra le possibilità, l’ipotesi di un accordo alternativo da proporre a Pechino, quello senza la dicitura “Via della Seta”, che però non piace, per ora, a funzionari cinesi.
E mentre tutto è in divenire, sospeso, il partito di quelli che vogliono che l’Italia resti dentro alla Via della Seta è sempre più attivo sulla scena pubblica. E’ composto soprattutto, oltre che dagli animatori del Movimento cinque stelle, i soliti entusiasti della Cina ospitati spesso dal blog di Beppe Grillo, anche da chi sceglie di dare priorità ai potenziali dati economici senza curarsi delle questioni politiche: una narrazione proposta direttamente anche dai funzionari di Pechino. Il 23 maggio scorso l’ambasciatore cinese in Italia, Jia Guide, è stato accolto “dalla business community di Milano” nel corso di un “Gala Dinner” organizzato dalla Italy China Council Foundation (Iccf). L’ambasciatore ha detto che “la Cina resta un’occasione imperdibile per l’Italia”, soprattutto dopo la firma dell’intesa sulla Via della Seta. Recentemente “alcuni media hanno politicizzato le questioni economiche”, ha detto Jia Guide davanti a duecento imprenditori milanesi, ma Italia e Cina non devono “disaccoppiarsi”, e che spera che “gli imprenditori e gli amici italiani calmino l’opinione pubblica negativa e si concentrino sul mantenimento di un buon quadro di cooperazione tra Cina e Italia”. Lo scorso fine settimana, al Festival dell’economia di Trento, diversi dibattiti erano sulla Cina – e, ovviamente, quasi tutti favorevoli al mantenimento della Via della Seta. Per esempio alla discussione dal titolo “Come sarà e cosa farà la Repubblica popolare cinese” Mario Boselli, presidente di Isybank e Prestitalia e dell’Iccf, ha detto che la Cina entro il 2030 diventerà la prima economia globale – inglobando anche Taiwan – e trasformandosi “da fabbrica a laboratorio del mondo”, ed è “un’opportunità impossibile da mancare” (ricorda qualcuno?). E quando l’ex ministro dell’Economia Giovanni Tria ha detto di essere stato contrario all’ingresso dell’Italia nella Via della Seta nel 2019, ma di essere contrario al “gesto politico” dell’uscita, oggi, tutti hanno applaudito.