L'intervista
"Meloni, basta alibi. Ora serve una sessione parlamentare sul Pnrr". Parla Amendola
"La Relazione semestrale contraddice la retorica del governo. La Spagna dimostra che siamo in ritardo. Ma sul Recovery l'Italia si gioca tutto, Per questo serve un dibattito alle Camere, e sono sicuro che Fitto non si sottrarrà. Il Pd è pronto a lavorare". Intervista al deputato dem
Su una poltroncina del Transatlantico, se ne sta lì a snocciolare uno strano elenco: “Assessment, governance, accountability, upskilling, mismatch…”. Onorevole, tutto ok? “Io sì. Non vorrei essere invece negli autori della Relazione semestrale sul Pnrr”. Raffaele Fitto e Giorgia Meloni? “Se fosse legge la proposta Rampelli, quella contro i forestierismi nei documenti ufficiali, dovrebbero rispondere di ben ventuno immotivati anglismi”. Al che uno dice, vabbè: se fosse questo il problema della Relazione. E invece qui subito Enzo Amendola dismette la celia: “La verità è che attendevamo questo documento con ansia, come i cinepanettoni a Natale. Alla fine, sia pur in ritardo, di Relazioni ne sono arrivate ben due, tra loro peraltro diverse. Evidentemente qualche solerte manina ha risciacquato al Mef la prima stesura, quella licenziata da Palazzo Chigi”.
Le differenze sono parecchie, in effetti. Alcune perfino notevoli. Ma non è su questo che il deputato del Pd, che le deleghe ai Rapporti con l’Ue le ha gestite sia nel Conte II sia con Draghi, vuole incalzare il governo. “La nostra preoccupazione è per la scadenza del 31 agosto, entro cui l’Italia deve chiudere la trattativa con Bruxelles sulle modifiche al Piano e RePowerEu. Per ciò dico a Fitto e alla premier Meloni: venite in Parlamento, apriamo una sessione straordinaria per discutere insieme delle modifiche al Pnrr. Il Pd, su questo, è pronto a collaborare”.
L’invito, dice Amendola, “è valido da mesi. E lo è tanto più ora che, con la pubblicazione della Relazione, sono venuti meno alcuni alibi”. Quali? “Il primo riguarda l’eredità del governo Draghi, che qualcuno a destra voleva descrivere come un lascito tossico. E’ vero il contrario, come si riconosce: fino al momento del passaggio di consegne si è fatto tutto quello che si doveva, nei tempi stabiliti. L’altro alibi riguarda l’Ue. Altro che accanimento verso l’Italia. Siamo i principali beneficiari del Pnrr, e anche per il RePower Bruxelles ci concede tempo e risorse aggiuntivi. I 2,7 miliardi degli Ets sono lì a disposizione, e poi un’altra dose di prestiti, su cui il governo italiano, ed è clamoroso, non ha ancora comunicato l’ammontare richiesto, unico paese in Europa”.
Dunque l’affanno del governo non trova giustificazioni? “La logica dello scaricabarile, dopo otto mesi in cui Meloni è a Palazzo Chigi, si rivela in tutta la sua inconsistenza. Mercoledì la Spagna ha notificato alla Commissione la richiesta di ulteriori 95 miliardi in più per il loro Pnrr. E anche qui, altre mistificazioni sono state svelate. La prima è che sarebbe stato un errore chiedere tutti i prestiti: cosa che la Spagna, citata finora come esempio di morigeratezza, ha appena fatto. La seconda è che addirittura sarebbe conveniente restituire una parte di quei prestiti. Per l’Italia, finanziarsi tramite debito comune europeo è molto meno oneroso che farlo ricorrendo al mercato. Nella retorica di chi vorrebbe rinunciare a questo vantaggio mi pare ci sia una declinazione assai fessa del sovranismo”.
Recriminazioni a parte, è indubbio che ora inizi la fase attuativa del Pnrr, quella più ardua. “Certo. E infatti semmai c’è da dolersi nel vedere che in questi primi otto mesi di governo si sia voluto giocare con la governance del Piano, aggiungendo complessità e incognite, e non si siano risolte le debolezze strutturali del nostro sistema. Che non sono, tanto per intenderci, gli eccessivi controlli della Corte dei conti, ma una Pa storicamente inadeguata. Su questo, però, il recente decreto varato alla Camera, non conteneva nulla di rilevante”.
Siamo di nuovo sulla critica retrospettiva. “Vero. E infatti ci tengo a lanciare una proposta, che il gruppo del Pd a Montecitorio, tramite la presidente Braga, formalizzerà nei prossimi giorni. Chiediamo al governo di aprire in Parlamento una sessione straordinaria di confronto sul Pnrr, specie in riferimento alle modifiche che bisogna chiedere a Bruxelles”. Un’offerta di collaborazione? “Di certo non un capriccio estemporaneo, visto che a imporre al governo l’obbligo di coinvolgere le Camere sui passaggi fondamentali del Piano è la legge istitutiva del Pnrr. E quella che abbiamo di fronte è di certo una tappa fondamentale del nostro Recovery”.
Un Pd, dunque, che finalmente sul dossier più strategico per l’economia nazionale prova a prendere l’iniziativa. “Il Pnrr non è di un partito, o di un governo. E’ patrimonio del paese, e per questo va salvato”. Nella convinzione, dunque, che Fitto raccoglierà l’invito? “Non voglio dubitarne. Anche perché, dal momento che entro il 31 agosto dobbiamo chiudere la trattativa con la Commissione, dal momento che da febbraio il governo dice di essere al lavoro per realizzare il RePowerEu, dal momento che già sei paesi, tra cui Francia e Spagna, hanno completato questo compito, ecco per tutte queste ragioni sono sicurissimo che a Palazzo Chigi avranno già le idee chiare sul da farsi, su ogni singola missione. Perché il confronto in Parlamento così dovrà avvenire, se vogliamo essere seri: scheda per scheda, progetto per progetto. Come per la legge di Bilancio”.
Aspettativa legittima, ma ambiziosa. “E non è tutto. Perché io credo che questo chiarimento parlamentare deve portare anche a liberare, finalmente, i fondi Fsc di sviluppo e coesione tenuti in ostaggio dal governo da mesi: le regioni del sud ne hanno immediato bisogno. E poi, così le diciamo tutte, c’è bisogno di sciogliere anche un nodo politico”. Sarebbe? “La votazione appena svoltasi al Parlamento europeo, quella in cui i partiti di governo italiano si sono espressi contro l’avanzamento del green deal, dà nuova sostanza al dubbio che la destra sovranista semplicemente non creda ai traguardi strategici fissati dal Recovery. E questo sarebbe un problema soltanto della destra italiana, se non fosse che dal mancato perseguimento di obiettivi della transizione verde e digitale passerebbe il fallimento del Pnrr. E questo, credo, né il Pd né l’Italia possono permetterselo”.