Ansa

Il governo del rinvio

I ritardi di Giorgia Meloni: dall'alluvione al Pnrr, fino al Mes, Pos e balneari

Simone Canettieri Luciano Capone

Tutti i dossier su cui l'esecutivo deve decidere così i proclami della campagna elettorale diventano lettera morta. I casi Inps e Inail

Scusate il ritardo. Dal commissario per la ricostruzione in Emilia-Romagna fino al Pnrr, passando per il Mes, il Pos e le nomine Inps e Inail Giorgia Meloni prende tempo. O perde tempo. Non si fida. Vuole accentrare tutto su di sé e non dare l’impressione all’esterno che gli alleati, soprattutto la Lega di Matteo Salvini, comandino troppo. E dunque sabbie mobili a Palazzo Chigi. Il caso più eclatante riguarda l’alluvione dello scorso 20 maggio in Romagna: 15 morti e 15 mila persone evacuate. Il commissario per la ricostruzione è ancora un mistero buffo. Meloni sarebbe anche disponibile a nominare, come da prassi istituzionale, il governatore Stefano Bonaccini. Ma Salvini, che sotto le Due Torri segnò la sua prima vera battuta d’arresto elettorale nel 2020, non è intenzionato a dare il via libera. In più i sindaci dem vicini a Elly Schlein, capitanati da quello di Bologna Matteo Lepore, continuano ad attaccare il governo sui fondi che non tornano. Polemiche quotidiane. Per Fratelli d’Italia è una resa dei conti interna al Pd per evitare che Bonaccini diventi commissario e dunque modifichi lo statuto per ricandidarsi per la terza volta (caso che sarebbe sfruttato anche da De Luca in Campania ed Emiliano in Puglia). Fatto sta che Meloni non decide. Vuole far “decantare” la vicenda. E non è l’unico caso.


Il governo riesce a essere in ritardo persino sulle cose  apparentemente più semplici e a cui tiene di più: occupare le poltrone. L’11 maggio si è inventato una finta riforma della governance dell’Inps e dell’Inail, che aveva come unico scopo quello di commissariare i due istituti per metterci persone fedeli alla linea. Il decreto legge, tanto erano forti la necessità e l’urgenza di occupare i due enti, prevedeva la nomina dei commissari straordinari “entro venti giorni”: i termini sono scaduti. E’ da un mese che Lega e FdI bruciano nomi perché non trovano un accordo sulla lottizzazione. In pratica Meloni aveva la necessità e l’urgenza di cacciare quelli messi dagli altri partiti, tanto da farlo per decreto, anche se non aveva idea di chi metterci al loro posto lasciando l’Inps e l’Inail nel caos. Pronti, ma non troppo. Un altro esempio paradigmatico della discrepanza tra i baldanzosi proclami e l’inconcludenza di governo è la vicenda del Pos. L’eliminazione dell’obbligo di accettare i pagamenti elettronici sotto i 60 euro era una promessa elettorale e uno dei cardini della legge di Bilancio. Tanto che solo per aver sollevato qualche perplessità, la Banca d’Italia venne attaccata con pesanti insinuazioni dal braccio destro di Meloni: “Bankitalia è partecipata da banche private – sentenziò il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari – reputa più opportuno che i cittadini si avvalgano di una moneta privata del circuito bancario”. Dopo un po’ il governo si rese conto che la misura andava in contrasto con i traguardi del Pnrr e fu costretto al dietrofront. Ma inserì comunque nella legge di Bilancio un “tavolo tecnico” con le banche per ridurre le commissioni per i pagamenti fino a 30 euro, sotto la minaccia di una tassa: se entro il 31 marzo non si fosse trovato un accordo, le banche avrebbero pagato un contributo straordinario pari al 50 per cento degli utili delle commissioni.

 

Alla fine non si è fatto nulla di nulla: il tavolo si è riunito, l’accordo non è stato trovato, le commissioni sono quelle di prima e la tassa non è entrata in vigore perché il governo non ha emanato provvedimenti per farsela pagare. Presto, non c’è fretta. E’ notizia di ieri la prima riunione del Tavolo tecnico consultivo in materia di concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali. In sintesi: balneari. Le concessioni sono il pallino dell’Europa, e non solo. Visto che lo scorso febbraio il capo dello stato inviò una lettera alle Camere chiedendo di “modificarne le norme”. Ma quando i proclami della campagna elettorale si scontrano con la realtà questi sono i risultati: prendere tempo, rinviare, aspettare. Sicché la notizia di ieri è che “sono state concordate le fasi nelle quali si articoleranno i lavori, che partiranno dall’acquisizione dei dati relativi ai rapporti concessori in essere e alla quantità e qualità delle risorse demaniali marittime, lacuali e fluviali disponibili”. La prossima riunione è stata convocata per il prossimo 4 luglio: campa cavallo. E poi c’è quello che Meloni chiama “stigma”, tre lettere: Mes. “Rischia di tenere bloccate le risorse”, ha detto la premier intervistata da Bruno Vespa. Il ragionamento però include due paradossi: il primo è che lo “stigma” attualmente non ce l’ha il Mes, ma l’Italia che è l’unico paese dell’Eurozona a non aver ratificato la riforma del trattato; il secondo è che l’Italia, mentre con il veto blocca tutti gli altri paesi europei, chiede di mobilitare le risorse del Mes mentre dimostra di essere in difficoltà nella capacità di spendere i soldi del Pnrr. Non è chiaro quali vantaggi in termini negoziali e di credibilità pensi di ottenere Meloni con questo atteggiamento ideologico rispetto a una riforma ritenuta necessaria da tutti. Si chiude con la partita grossa: il Pnrr. Da ormai un anno, prima in campagna elettorale e poi nei mesi di governo, ha affrontato la questione spesso con toni polemici: nei confronti del governo Draghi, dell’Unione europea che non avrebbe consentito cambiamenti al piano, infine della Corte dei conti. La promessa era di una revisione profonda del Pnrr e di un’integrazione con i fondi del RePowerEu. Il bilancio di tutto questo attivismo è però misero. La terza rata è bloccata da mesi, anche se dovrebbe essere pagata a breve. Il governo non è stato ancora capace di inviare una richiesta di rimodulazione del piano né di chiedere il RePowerEu, come hanno fatto altri paesi europei. E non è la Commissione che non consente cambiamenti, come diceva una certa vulgata governativa, perché accade l’esatto contrario: da Bruxelles, lo ha fatto il commissario Paolo Gentiloni, chiedendo al governo di inviare “prima possibile” la richiesta di “rimodulazione generale del piano”. E’ l’Italia che è in ritardo, come evidenzia peraltro la prima Relazione semestrale sul Pnrr del governo inviata (in ritardo) al Parlamento che mostra difficoltà per il 22 per cento degli obiettivi (118 milestone e target su 527 totali).