L'intervista
Minniti: “Meloni rompe con Polonia e Ungheria, è una svolta enorme”
“Non esiste una Internazionale sovranista. Fondamentale il viaggio a Tunisi della premier con von der Leyen”. Intervista all'ex ministro
“Meloni due giorni fa in Lussemburgo sui migranti ha rotto con Polonia e Ungheria, è una cosa politicamente enorme anche se io l’ho sempre ritenuta inevitabile a un certo punto. Si è reso palese che non esiste un’Internazionale sovranista. Era un’illusione ottica nonché una contraddizione in termini”. Marco Minniti, ex ministro dell’Interno del Pd nei governi Renzi e Gentiloni, oggi presidente della fondazione MedOr di Leonardo, non è stupito, ma soddisfatto della scelta del governo italiano di votare a favore del nuovo patto contro Ungheria e Polonia, paesi con governi amici di FdI. Tanto più, che, dice l’ex inquilino del Viminale: “La rottura di Meloni con Ungheria e Polonia non era obbligatoria per l’Italia. E’ stata una precisa scelta tecnica e politica”. Dice l’ex ministro: “Ma questo accordo sui migranti comunque non è risolutivo. Al di là dalle questioni poliche, interessanti, bisogna dirlo. Si parla ancora solo della gestione dei migranti già giunti dentro i confini Ue, ma su questo l’unico vero possibile cambio di paradigma sarebbe il superamento del trattato di Dublino che invece costituisce e continuerà a costituire una camicia di Nesso per i paesi di primo approdo, Italia in testa”.
E però per Minniti non è tutto da buttare. Anzi. Una svolta potrebbe essere più vicina del previsto. “La destra chiamata alla guida del paese ha capito che in un mondo interconnesso l’interesse nazionale si gioca al 90 per cento fuori dai suoi confini”, dice Minniti. A meno di una settimana di distanza dal suo primo viaggio a Tunisi Giorgia Meloni tornerà in Tunisia per vedere il presidente Saied. Con lei però questa volta ci saranno anche la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen e il premier olandese Mark Rutte. “Non credo sia un caso – prosegue l’ex ministro – che l’Italia abbia accettato l’accordo quando, a riunione in corso, è arrivata, come una sorta di deus ex machina la notizia della visita. Meloni dice che la svolta già c’è stata, ma la verità è che lo sapremo domenica. Se lei e Von der Leyen annunceranno un prestito europeo alla Tunisia, superando le reticenze del Fmi, allora ci sarà un vero salto di qualità, sarebbe il primo passo di un piano di investimenti europeo per la stabilizzazione dell’Africa e sull’accordo di due giorni fa, tutt’altro che risolutivo, parafrasando Enrico di Navarra, potremmo dire ‘Lussemburgo val bene una messa’”.
“La Ue – prosegue Minniti – deve affronta insieme la dimensione esterna dell’immigrazione, e cioè i rapporti con i paesi al di là del Mediterraneo. Per evitare le morti in mare e cominciare a gestire l’immigrazione come fenomeno strutturale, l’unico vero possibile cambio di paradigma e lungimiranza strategica è il patto europeo per l’Africa”. La speranza insomma è che la visita di domenica rappresenti il primo passo per un’inversione di rotta nella gestione dell’immigrazione. Dalle liti interne alla Ue su redistribuzioni e movimenti secondari a un’azione diretta in Africa. E’ quello che Minniti auspica da tempo. “La strada è quella – dice – è inevitabile, però in queste cose contano i tempi, un segnale verso l’Africa deve arrivare subito”. E’ così che si costruiscono, ritiene, “le condizioni per un governo legale dei flussi migratori”. L’idea si basa su tre assi: investimenti per lo sviluppo, canali legali d’immigrazione gestiti attraverso ambasciate e consolati, corridoi umanitari per i rifugiati da paesi in guerra con centri gestiti dalle Nazioni Unite. “Può apparire un paradosso – dice – ma la guerra in Ucraina ha avvicinato ancora di più i destini dell’Europa e del Nord Africa. Per una ragione: tutto quello che la guerra ha prodotto ha trovato nel Mediterraneo e nell’Africa centro settentrionale il suo primo impatto”. L’ex ministro cita in particolare l’inflazione alimentare che ha costretto l’Egitto a chiedere un prestito al Fmi e ha contribuito al rischio default della Tunisia, ancora in attesa di un finanziamento analogo. C’è poi la guerra civile in Sudan – “con più di un milione di persone in movimento tra Sudan e Somalia” – ma anche la situazioni di grave instabilità in Mali e Burkina Faso, dove, come nella Repubblica Centrafricana sono presenti gli uomini della Wagner. “Non è un caso che la Russia che ha dovuto fare tre mobilitazioni generali lasci lì i miliziani”, dice. “L’Africa è quasi il fronte secondario di una guerra asimmetrica in grado di stringere l’Europa in una tenaglia umanitaria. La prova generale Putin la fece al confine tra Bielorussia e Polonia, non andò benissimo alla Ue, allora pensò che l’Europa non sarebbe stata capace di reggere l’imponente flusso di profughi fuggito dall’Ucraina, per fortuna ha perso questa scommessa”. Insomma, secondo l’ex ministro, la situazione se non affrontata in fretta potrebbe diventare esplosiva.
"Adesso servono 3 miliardi, come quelli che furono trovati per la Turchia, entro il 2023, non solo alla Tunisia”. Una delle questioni contestate è quella del rispetto dei diritti umani. Sia nella Tunisia di Saied, sia, ad esempio in Libia, dove Minniti immagina di aprire i centri delle Nazioni unite per i corridoi umanitari e chiudere i centri di detenzione. “Quando si dà un aiuto – dice l’ex ministro – si chiede in contemporanea il rispetto dei diritti, sapendo che, quando c’è un progetto vero a sostegno, la diplomazia diventa efficiente, sennò a chiunque, autocrati compresi, non costa niente andarsene sbattendo la porta”.