Silvio Berlusconi ha saputo farsi letteratura nel paese del melodramma
Il Cav. non è stato un politico come tanti ce ne sono stati nella contemporaneità d’Italia, è stato unico. Così il Cavaliere dalle mille messe in scena, s’impone ai posteri con un sovrappiù di fantasia
La patria del melodramma trova in Berlusconi, il primo dei suoi amanti. L’Italia è il paese che ama, il dado con lui è più che tratto e il suo obbedisco! – l’ora tutta sua segnata dal destino – è il grande romanzo che Silvio consegna al mondo: “L’Italia è il paese che amo”.
Più che la persona, il Cavaliere è il personaggio che ha saputo farsi letteratura e tutti i fatti della sua giornata, ancora più quelli incredibili, concorrono più alla verità della maschera che alla realtà storica. Individuo assoluto e perciò già romanzo ma anche film o puro teatro, Silvio non è un politico come tanti ce ne sono stati nella contemporaneità d’Italia. Come il duca Valentino, come Cagliostro e come Giuseppe Garibaldi – tutti uomini totali e arci-italiani, sepolti tutti sotto montagne di bibliografie e leggende – egli è persona che diventa personaggio e però solo lui, Cavaliere dalle mille messe in scena, s’impone ai posteri con un sovrappiù di fantasia. La scena del mondo, insomma, è la sua smania e qui, in queste poche pagine, bramandone di sempre più nuove, s’informa il lettore di quel che in forza di pregiudizio vorrebbe ignorare: resta nella storia, lui.
Lui e solo lui. E come Luigi XIV nel suo secolo così Silvio – nel suo tempo – può ben dire: “Io sono il Sole”.
La favola allegra è nelle corde di un libertino senza strani gusti, dalle variazioni sempre sane, circondato da ragazze pronte a un ruolo di comparsa nella città-regno con tanto di gelateria dove il registratore di cassa è finto e i coni – squisiti, veri – sono distribuiti gratis.
La patonza deve girare, si sa, ed è il comandamento. E il sotto testo delle giornate al sole, accogliendo il premier inglese e signora in tenuta sbarazzina – con tanto di bandana – è un’euforia impossibile da spiegare con la ragione politica.
Giunge in visita a Villa Certosa, a Porto Rotondo, Vladimir Putin. Il leader russo è ben più che un Capo di stato per il Cavaliere, è un amico sincero. E Silvio si organizza con un maestro indiscusso dello spettacolo, Ninni Pingitore – un testimone del varietà nel solco di Ettore Petrolini – chiedendogli in quattro e quattr’otto uno show nel dopo cena per impreziosire la serata. Belle, gran belle e allegre signorine del corpo di ballo partono da Roma, dallo storico Salone Margherita. Con loro ci sono i comici col repertorio delle barzellette dove infine anche Silvio – guadagnata la scena, nei saluti finali – si esibisce da par suo. Racconta la storia di Carletto, un suo cavallo di battaglia collaudato col pubblico dei suoi dipendenti, una vera e propria performance tutta di mimica in un crescendo salace. Raccolti gli applausi, invita Vladimir in palcoscenico e chiede a lui una delle sue. L’ex colonnello del Kgb non si sottrae alla scenetta. E ne racconta una, popolarissima – dice – in tutte le nazioni della Federazione Russa. Eccola: “Berlusconi cade da un alto grattacielo, e nel precipitare si dispera, urla – aaaah, aaah! – cadendo passa davanti a una finestra del decimo piano c’è una bellissima ragazza che si spoglia e allora, compiaciuto, cambia nell’urlo: oooh, oooh!” Ridono tutti, battono le mani tutti. Più di ogni altro ride e applaude Silvio che così chiosa. “Mi sembra una storia molto coerente”.
Il Cavaliere dei sette spiriti – tutti allegri – domina incontrastato l’immaginario. Tutto in Silvio è una partitura. E par di sentirlo cantare: “Io sono ricco e tu sei bella”.
Instancabile come un don Pasquale, Berlusconi si fa beccare sullo sfondo del selfie di una delle sue parlamentari accreditate a Corte e così, anche nel giorno dell’Immacolata – quando gli italiani si godono il ponte – il Cavaliere si mostra a tutti. Com’è da lui, giusto lui che vive per sé, da sé. Come lo fa Silvio, l’Anna Bolena, nessuno. Ed Elisir d’Amore, il melodramma giocoso di Gaetano Donizetti, decifra al meglio la sua capacità di seduzione. Tutto in lui è, infatti, luce tutta sua.
Sempre è d’immenso giubilo e anche chi lo elegge a nemico come i manettari che si sono riuniti in liste elettorali per diventare maggioranza in parlamento la legge a favore delle sue aziende gliela votano comunque. E sempre, il Cavaliere, sparge il suo elisir mirabile. Come un Paride vezzoso sa ammaliare. E sa starsene in attesa. La letteratura erotica su Silvio è, appunto, sterminata.
I delitti della politica reclamano una redenzione più cocente che le debolezze d’amore ma l’esito politico-giudiziario è quasi un’epica in virtù del suo martirio – come ha potuto resistere lui, nessuno – e non c’è nulla di torvo nelle sue avventure di lenzuola. I magnifici piaceri della notte non suonano come un insulto alla vita ordinaria della gente che, anzi, vi aspira se poi padri di famiglia accompagnavano le figlie fino all’uscio di casa Berlusconi. Sul finire della sua carriera politica, in odio a lui, raccogliendo la testimonianza di una tra le tante povere ragazze che si sono messe a disposizione degli inquirenti, su un giornale più che autorevole capita di leggere un siffatto titolo spericolato: “Berlusconi lecca i genitali a B.R. mentre R.R gli pratica sesso orale”. L’ipocrisia, si sa, è l’omaggio che il vizio fa alla virtù. L’uno si china verso l’altra ma come due fiori dello stesso vaso, riconoscendosi, l’esuberanza del Silvio senza freni nutre gli infelici traviati dal loro arcigno moralismo, e così viceversa.
Due figliole avvenenti come poche sono queste ragazze, la pietas ci obbliga a siglarle ma il giornale che ne dà notizia – chiamando l’opinione pubblica alla indignazione – mette il loro nome e cognome e senza eccedere d’ipocrisia, allora, ecco che questa faticosa malizia si capovolge svelandosi in punto di sublime. È tutto un beato lui.
Pari a un Paride – ebbro di elisir – Silvio è pur sempre quello col sole in tasca: a chi darà, dunque, la sua mela?
Bello nel canone di bellezza maschia Silvio non è ma sa sorridere, sa far ridere le signore, sa addestrare le ragazze e anche in tema di fantasie, sempre sane.
Esce sui giornali una formidabile istantanea, un vero e proprio iconico istante dello Spirito del Tempo, dove lui – è Presidente del Consiglio – sta parlando all’orecchio di una giovane signora, ministro del suo Governo. Lei è alta, ha capelli di una divinità solare, lo ascolta attentamente. E apprende. Agli amici che si complimentano per la fotografia – un attestato di stima agli occhi dei fedelissimi – lei confida: “Ma lo sai cosa mi stava dicendo? Mi chiedeva se mai avessi provato l’amore in tre…”.
Marito di tutte le mogli, moglie di tutti i mariti ben più di Cesare, Berlusconi – prepotentemente maschio – è il fidanzato di tutte che però corteggia e conquista anche gli uomini cui ruba le donne.
Quando ancora sta facendo il suo ultimo numero in “assenza”, stringendo d’assedio il Quirinale, a Otto e Mezzo – la trasmissione cult dell’approfondimento acculturato – stanno dicendo che lui incarna un modello di eterosessualità “di stampo tardo patriarcale ultra decadente che non fa più parte del mondo in cui viviamo”.
Il suo imperio seduttivo è anche un immenso Amici Miei meno amaro e con tanti soldi.
Il primo Berlusconi è quello che bussa al camerino della Veronica Lario – Miriam Bartolini all’anagrafe, la sua futura seconda moglie – e vi scaraventa gioioso cento rose bianche. Accanto alla giovane attrice, formosa e vaporosa di respiro, c’è il capocomico-pigmalione nonché fidanzato attualmente in carica. È il grandissimo Enrico Maria Salerno ancora col costume di Mefistofele addosso che nel ritrovarsi davanti lo Stregatto, perfino proprietario del teatro dove lui e la sua avvenente fidanzata sono appena andati in scena, istintivamente porta la mano alla fronte: “Sei già dotato di corna, bene…” nota con spiritosa sfrontatezza il Silvio dal sole in tasca.
“Cosa vuole che le dica, dottore, carissimo”, risponde il povero diavolo, “mi porto avanti…”.
Ed è tutto un “non devi restarci male”, “devi essere contento perché è giusto così”, “tutto s’aggiusta” e – per finire – “se hai bisogno di qualcosa, dimmi”.
Tutto un parlare a lui abbagliandolo di sorrisi in un misto di giocosità e finezze nel frattempo che – facendosi largo tra le cento rose bianche – lo accompagna all’uscita, chiude la porta e sposa lei. Futura madre dei figli di secondo letto, compagna in una stagione ruggente, Veronica coltiva in lui – e con lui – un’alterità femminile, anche contro di lui.
Chi lo ferma mai il Silvio dei sempre-in-gamba?
Cresce e matura il grano del buonumore e nell’apoteosi del felice regno – circondato da un serraglio festoso – il Cavaliere perde la signora Veronica che lo lascia lasciandolo come in una sceneggiatura scritta da altri. Ed è una straordinaria drammaturgia della modernità quella di lei che pubblica il proprio addio sul principale giornale degli irriducibili nemici di lui costringendo Silvio a risponderle. La risposta arriva dalle colonne del quotidiano eccentrico ma a lui vicino, proprio questo, sì. Oltretutto un foglio in cui Veronica – da editrice – ha sperimentato la sua curiosità di donna del suo tempo.
Si lasciano, lasciandosi – per dirla con la canzone – con parole d’amore scritte a macchina.
Non uno ma due Cyrano de Bergerac, nel carteggio, prestano la propria scienza a entrambi.
Per Veronica, un irreprensibile moralista qual è il direttore di Repubblica, ovvero Ezio Mauro. Per Silvio, invece, il meraviglioso Giuliano Ferrara, fondatore del Foglio, il quotidiano il cui blasone – “Siamo berlusconiani tendenza Veronica” – giammai è ripudiato. Firma lei ma è stato Ezio Mauro a scrivere, risponde lui ed è un Giuliano innamorato – il nostro Giuliano – a rispondere.