"Chi vuole diventare il suo successore in politica s'illude". Renzi racconta la sua amicizia impossibile col Cav.

Valerio Valentini

L'incontro ad Arcore, il dilemma dell'odio, la sfida su Tik Tok. Le trattative sul Quirinale e la rottura del Patto del Nazareno. Le battute a Palazzo Chigi: "contro i comunisti, conti su di me". Il senatore fiorentino rircorda il rapporto con Berlusconi. Ed è scettico sulle ambizioni di Meloni di raccogliere l'eredità di FI. "Il limite del Cav. sta in ciò che non ha fatto, nella rivoluzione liberale rimasta inattuata"

Si fa quasi fatica a credergli: che davvero non si stia già muovendo, che non stia ragionando su quello che potrà succedere, che insomma non stia facendo politica, ma che invece indugi nel ricordo. Eppure Matteo Renzi è così che appare, che vuole mostrarsi. Quasi disinteressato al dibattito sugli esiti della morte del Cav., almeno per oggi. “Stare qui a discutere su chi trarrà vantaggio significa immiserire la memoria di una figura straordinaria, comunque la si pensi. Uno che non a caso lascia eredi, e cioè i suoi figli, ma non lascia alcun successore politico”. E dunque anche le ambizioni di Giorgia Meloni, il suo tentativo di sfondare al centro, di intestarsi un’area e forse un retaggio, devono apparigli inconsistenti. “Quello spazio moderato, di chi vuole più crescita e meno tasse, di chi crede nel garantismo, c’è e ci sarà. Ma Berlusconi era un’altra cosa, era molto di più di uno spazio politico”.

E dunque “anche il consenso che ha saputo catalizzare intorno alla sua figura va oltre un’agenda politica, e resterà imprendibile”, dice Renzi. Il quale, del resto, lo ha conosciuto bene. Il meno ostile dei suoi avversari, il meno vicino politicamente di quelli che il Cav. ha considerato tra i suoi  emuli. “A pensarci, il paradosso è che fu proprio lui, rompendo il Patto del Nazareno, a determinare la mia sconfitta politica più importante. E però, malgrado questo, la sintonia umana è rimasta intatta. Perfino quando ha aperto il suo profilo Tik Tok ci siamo sentiti: mi ha sfidato su chi avrebbe avuto più follower, ha avuto la meglio lui”.

Si assomigliano troppo, s’è detto, per odiarsi. “E di non averlo mai odiato sinceramente mi vanto”, spiega Renzi, che anzi rivendica di aver “cambiato l’approccio del Pd e del centrosinistra nei confronti di Berlusconi: volerlo sconfiggere, certo, ma nelle urne e non nelle piazze, affrontarlo nelle aule del Parlamento, non in quelle dei tribunali”.  Eppure, la prima visita ad Arcore di Renzi fece storia. E polemica. “Dicembre 2010, io ero sindaco di Firenze. Ricordo che mi chiese: ‘Perché mi odiate, a sinistra?’. Lui non si capacitava di potere essere non amato dagli italiani, e in questo era assolutamente sincero. Quando esortava i suoi dipendenti a pensarsi come detentori del sole in tasca era perché lui era davvero convinto di avercelo, quell’incanto. Il primo a credere alla sua prosopopea, nel bene e nel male, era lui”.

Poi, forse, una  certa sintonia politica c’è stata davvero, tra i due. O forse era davvero, come dice Renzi, “che prima della politica c’era l’aspetto umano, con Berlusconi, e la verità è che parlare con lui era terribilmente divertente”. E qui allora politica e goliardia si mescolano, il presidente del Consiglio più longevo della storia repubblicana e anche, e forse non a caso, anche un inguaribile battutista. E insomma eccoli, Renzi e Berlusconi, a Palazzo Chigi, che pure dovrebbero sforzarsi di starsi antipatici e invece niente. “Lo convocai da premier incaricato per le consultazioni. Eravamo lì da un’ora, a parlare di  Milan e Fiorentina, e ancora d’altro, e io lì che pensavo: ‘Ora mi fulmina sulle riforme’”. E invece? “E invece si arrivò al momento dei saluti senza che si fosse sbilanciato. Sulla soglia mi si avvicinò e mi disse: ‘Non dubitare che qualsiasi cosa farai contro i comunisti, ci sarò’”.

Eppure Renzi dall’altro lato della barricata non è mai voluto andarci. Anzi, in certi casi fieramente gli fu avverso. “Nel dicembre del 2021 un suo caro amico venne a trovarmi. ‘Perché non vuoi votare Silvio al Quirinale?’. ‘Perché è un’ipotesi impraticabile, e chi gli vuol bene dovrebbe dirglielo’”. Ma qui si entra in quel terreno scivoloso in cui la fedeltà sconfina nel culto della personalità: e pure questo è stato il berlusconismo. “Perché mi fu fatto notare che in passato gli era stato detto che non avrebbe mai potuto costruire una città dal nulla. E nacque Milano 2. E che sfidare il monopolio della Rai era una pazzia. Ed ecco Mediaset. E che comprare il Milan per farne una squadra vincente era una scommessa folle. E arrivarono campionati e Champions League. E che scendere in politica era un suicidio. E si sa come andò. Per cui ora chi avrebbe potuto dirgli che farsi eleggere presidente della Repubblica ‘era un’ipotesi impraticabile’”?.

Limite forse dell’ultima stagione del berlusconismo, questa: credere di potere reiterare la gloria che fu. “Ma del resto l’aver saputo ricorrere alla fantasia è stata la cifra più memorabile del Cav.”, secondo Renzi. “Forse perfino troppa ne ha avuta, di fantasia”. E quindi l’innovazione migliore è stata anche ciò che di meno apprezzabile resterà, di questo trentennio berlusconiano? “Ma io credo che il suo vero limite sia stato in ciò che non  ha fatto, nella rivoluzione liberale rimasta un po’ una promessa sfuggente. Ricordo che una volta mi disse: ‘Abbiamo fatto proprio bene a fare il Jobs Act’. Gli feci notare che quella riforma ero stato io a farla, che lui aveva anzi votato contro. ‘Ma com’è possibile?’, mi rispose. E per un attimo mi sembrò reale, la sua sorpresa”.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.