12 settembre 2009. L'allora premier Berlusconi in Piazza Duomo a Milano, al termine del funerale di Mike Bongiorno (Ansa) 

la sua città

Silvio Berlusconi e Milano, amore e no

Maurizio Crippa

L’immagine odiografica dell’imprenditore “brianzolo”, la sua milanesità a tutto tondo. Una parte dell’upper class meneghina ha sempre detestato Silvio Berlusconi. Per fortuna i milanesi hanno seguito lui

Segnacoli molti. Il non-rapporto che Enrico Cuccia ostentava nei sui confronti (nel sancta sanctorum dei salotti buoni, Mediobanca, Fininvest  entrò solo nel 2007 e la prima della famiglia a sedersi nel cda fu Marina Berlusconi). I cattivi rapporti con i grandi nomi di Confindustria, bilanciati dall’ottimo rapporto con le piccole imprese e il mondo artigiano. La lunga diffidenza (reciproca) di Piazza Affari. L’ostracismo snobistico del ceto intellettuale milanese – editori, giornalisti, magistrati, varia accademia che in buona parte avevano già detestato Bettino Craxi – verso il parvenu, l’uomo delle televisioni cioè del cattivo gusto.

   
Milanese di nascita, educazione, intraprese e passioni, Silvio Berlusconi per tutta la vita ha dovuto scontare un rapporto ambivalente con Milano, e soprattutto una ostentata antipatia di una parte della sua classe dirigente, e delle sue “chattering classes” in particolare. E’ bizzarro, ma significativo, che molte caricature parodistiche di Berlusconi, dal Carcarlo Pravettoni di Hendel all’Ing. Perego di Albanese, insistano, più che sull’ambrosianità bauscia (il modello del Dogui Guido Nicheli), sul tratto antropologico dell’imprenditore brianzolo, quello “dell’individualismo proprietario”, per dirla con Aldo Bonomi. Come il brutto film di Virzì, che colloca in Brianza la toponomastica della deriva antropologica berlusconista che ha (avrebbe) travolto l’Italia. E la villa di Arcore, le cene di Arcore, i vertici di Arcore. L’università velleitaria e maccheronica di villa Gernetto, l’esilio di Veronica Lario nella villa di Macherio. Quasi la Brianza fosse la tenuta di Balmoral di un tiranno uggioso. Un mondo fuoriporta, che per l’intellighenzia politica e giornalistica milanese dimostrava che “non era uno di noi”.

 
Silvio Berlusconi, milanesissimo e legatissimo alla sua città, non è mai stato amato né digerito dalla sua città. O almeno da una sua parte influente, i suoi ceti alti finanziari e/o riflessivi – la Milano che andava dal vecchio conte Radice Fossati presidente della Camera di commercio ai Feltrinelli ai Profumo al procuratore musicologo Borrelli. In fondo, che avesse deciso di vivere ad Arcore, che preferisse Milanello al foyer della Scala, il Manzoni allo Strehler, erano il segno di una non milanesità plebea.

  

Berlusconi apre il comizio "Una festa di libertà" in Piazza del Duomo il 18 aprile 1998 (Ansa)
  
Ma Silvio Berlusconi era milanese, e ieri molti articoli ne hanno tracciato la fitta topografia esistenziale. Da via Volturno, all’Isola, la prima casa della famiglia nel Dopoguerra dove incontrerà l’amico di tutta la vita, Fedele Confalonieri. Alle scuole dei Salesiani di via Copernico. E il primo investimento immobiliare in via Alciati, vicino a quella mezza periferia tranquilla di viale San Gimignano dove poi mamma Rosa ha vissuto per sempre. La prima mitica villa in via Rovani e il quartier generale in Paleocapa. E poi Fininvest, Milano 2 col San Raffaele, il Teatro Manzoni, il Milan. Più milanese di così. 
Eppure Berlusconi è sempre stato tenuto un po’ a distanza dal mondo delle grandi famiglie milanesi – che nel frattempo si estinguevano, i Falck, i Pirelli – e dai banchieri del sistema-città. Era un nuovo ricco, troppo legato alla Milano socialista che la cattiva coscienza collettiva aveva messo sotto processo; un palazzinaro che s’era messo in testa di valorizzare luoghi “extra moenia”, Segrate o Basiglio. Che faceva soldi con la pubblicità e la televisione. 

 
E poi la discesa in campo (“il partito di plastica” nato in un fabbricone di viale Isonzo, che volgarité) e che poi trovò sede in viale Monza, lontano dalla “zona 1” e il suo amico sindaco della disruption metropolitana, Albertini. Insomma la Brianza era il luogo giusto dove idealmente confinarlo, hic sunt leones, il luogo adatto per ambientare la fiction sicula dello stalliere mafioso. Cose che, signora mia, tra via Bigli e piazza Duse non si sono mai viste. Ma la vera ragione, al di là della refrattarietà di una upper class naturaliter di sinistra, à la Giulia Maria Crespi, che aveva sempre respirato la città in osmosi con il Pci, è che Berlusconi rappresentava una Milano diversa da quella delle professioni, della finanza e, sempre più, delle rendite. Erano la Milano e la Lombardia della nuova imprenditoria, del terziario, delle partite Iva, dei fatturati che esplodevano con la pubblicità. In gran parte era lo stesso elettorato, che aveva votato Craxi. Ma se Milano, dopo lo sconquasso degli anni 70 e poi dei 90, è diventata quella che è oggi, in molta parte è perché i suoi cittadini hanno ascoltato molto più gli animal spirits di questo milanese ottimista e gioviale, che non certi piccoli rancori ideologici.
 

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"