Berlusconi parla con i giornalisti all'ingresso di Villa Grande a Roma (Foto Ansa)

romanzo immobiliare

Tulipani, viscontismo e zero minimal: l'epopea delle case di Silvio Berlusconi

Michele Masneri

Il Cav. andrà un giorno studiato per le sue peregrinazioni immobiliari e per l’ossessione del real estate. Villa Grande a Roma è stato il suo ultimo colpo di mattone 

Berlusconi andrà un giorno studiato per le sue peregrinazioni immobiliari e per l’ossessione del real estate, come in America si studiano le case delle star (ma in un paese senza show business, del resto, ha cambiato più case e arredi lui di qualunque divo). Berlusconi attribuiva qualità salvifiche al mattone (un’altra delle caratteristiche che lo mettevano in sintonia con gli italiani). Quando il gioco si faceva duro, lui tirava su una palazzina. Come Meloni inventa un nuovo reato universale, il Cav. ha nevroticamente, gioiosamente rogitato. Nelle crisi dei migranti acquistava per esempio ville a Lampedusa, come nel 2011. E del resto tutta l’epopea berlusconiana nasce, non va dimenticato, con una verve edificatoria e una radice edile. Milano 2 lo vide scatenarsi come un Piacentini di sé stesso, come un Albert Speer padano, e lì il Cav. che già aveva venduto appartamenti “sulla carta”, convocando anche parenti e amici come finti compratori per invogliare quelli veri, lì immagina la città ideale, senza macchine, con tanto verde, e bici in sharing (visionario) e impianti canalizzati (anche troppo: oltre al citofono c’è un cavo in più, che farne? Si potrebbe riempirlo di quelli che all’epoca ancora non si chiamavano così, i contenuti). Arrivò Mike, a TeleMilano 58, e l’Italia non fu più la stessa. Non lontano c’era Arcore, e prima ancora Macherio, residenza di Veronica.

 

Tempi di biscioni scolpiti nelle verzure, eliporti, foto posate in tuta, distese di tulipani. Ecco l’ossessione per i fiori e le aiuole ben tagliate: l’ultimo suo post su Instagram, prima dell’ennesimo ricovero in aprile, lo ritraeva in un prato di tulipani ad Arcore. "Per ora vi tulipano, no scusate ho sbagliato, vi saluto". Arcore, una Brianza identitaria, come la Palm Beach trumpiana  (ma anche Silicon Valley: il discorso alla Nazione, “questo è il paese che amo”, avvenne in un garage, con dietro le statuine di Cascella, autore anche della celebre necropoli che ospiterà la salma). E la Brianza è sempre stata la sua “heimat”, fino alla villa Gernetto comprata nel 2007 e adibita a petit Trianon, anche per le nozze morganatiche con Marta Fascina (ma gli sceneggiatori saranno già al lavoro per questa “Succession” brianzola? Potrebbe intitolarsi “Dolcedrago”, come la leggendaria holding che raduna le case del Cav.).  

 

Poi ci fu la Sardegna, il suo Mar Nero, la Certosa coi suoi vulcani, le bandane, i cactus, il pontile coperto da segreto di stato. Anche, parentesi caraibiche (in fila, i maschi consigliori, tutti in bianco, a Bermuda). Infine venne Roma, e lì – forse un presagio – l’unica terra in cui il Cav. non riuscì mai a conquistare – leggi, comprare – una casa. 


Prima provò in via dell’Anima, dietro piazza Navona, il “bachelor pad” di un premier di fresca nomina, poi non gli riuscì neanche di comprare  un palazzo nobiliare come si confà a un nuovo re di Roma. I Torlonia, non i più antichi ma i più ricchi tra i principi romani, proprietari della Banca del Fucino, non presero  sul serio l’offerta per il secentesco palazzo di famiglia in via Bocca di Leone, abitato da inquilini non proprio cheap come i  cavalieri di Malta, e una zia di Juan Carlos di Borbone, che sarebbe parso brutto sfrattare. Anche coi Borghese andò male: il castello della Crescenza, maniero medievale che piaceva molto a Berlusconi, continua a essere usato per sontuosi catering e matrimoni (si sono sposati qui Francesco Totti e Flavio Briatore) e la proprietaria signorilmente rifiutò le avances cavalleresche, offrendo illimitata ospitalità ma non avallando rogiti o compromessi. 


Alla fine Berlusconi ci provò con la famiglia Grazioli, non accontentandosi dell’affitto del palazzo di via del Plebiscito 102. Anche lì, garbato rifiuto: il duca Giulio Grazioli-Lante della Rovere resistette infatti alla lusinga grazie alle sue doti di finanziere esperto – aveva messo insieme 42 milioni di euro di plusvalenza nella scalata Unipol - Bnl del 2004, quella dei “furbetti” – ma soprattutto a una fortuna familiare consistente. Rassegnato all’affitto (40 mila euro al mese), Berlusconi rese l’indirizzo leggendario, con la palina del bus spostata e rimessa a seconda del potere del momento, col cuoco Michele poi messosi in proprio, con gli affacci sul fatale palazzo Venezia (per le mostre d’antiquariato). Col “letto grande di Putin”, con le registrazioni, col cane Dudù (ma lo scrittore Dudù La Capria, che abitava di fronte, si seccava moltissimo dell’omonimia).  


A differenza di altri capi di governo (uno per tutti Mitterrand, ma anche l’amico Craxi), Berlusconi non coinvolse mai nei suoi cantieri le massime archistar nazionali, neanche per gli interni. Né Gae Aulenti né Ettori Sottsass e neanche dei Mongiardini contesi dai meglio industriali misero mai piede nelle sue magioni. Fidandosi lui piuttosto del gusto suo e semmai affinandolo con supplenze di diversa derivazione. La sorella di Giorgio Aiazzone recentemente mi raccontò di un tour dell’augusto mobiliere negli anni ‘80 per aiutare Silvio ad arredare lo chalet a St. Moritz  rilevato dallo Scià di Persia (35 stanze, ognuna di un colore diverso). A sovrintendere al restyling di palazzo Grazioli fu invece come  in altre dimore berlusconiane l’architetto Giorgio Pes, architetto di nome ma più che altro scenografo, che aveva lavorato nel Gattopardo viscontiano (mentre tra le collezioni inestimabili arrivavano pezzi comprati alle televendite notturne).


A un certo punto, scemato il potere grande, ma non gli affitti megagalattici, il Cav. decise di trasferirsi nella villa sull’Appia Antica, che era appartenuta al regista Franco Zeffirelli. Giù altri ninnoli. Per l’ultima fase della sua vita romana, Berlusconi dunque dimorò a “villa Grande”, sull’“Appia dei popoli” (copyright Claudio Martelli). E anche qui viscontismo e zero minimal. Berlusconi l’aveva regalata in passato a Zeffirelli o forse il regista l’aveva acquistata con soldi prestati dal Cav. In ogni modo finalmente era sua, del Cav. Per la prima volta, a Roma, poteva stazionare in una casa di proprietà, che però gli era pervenuta con quel tipo peculiare di transazione che è la nuda proprietà: investimento dei più accorti,  e a cui però alcuni forse impropriamente attribuiscono qualità jettatorie. E’ stato il suo ultimo colpo di mattone. 
 

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).