Gli ispettori della Commissione sollecitano meloni sul Pnrr, ma devono fare i conti con le tensioni del governo
La nuova governance presentata ai funzionari di Bruxelles. Incognite e assenze. Il Mef s'ammutina contro Palazzo Chigi, Salvini non vuole mollare i suoi fondi, Meloni è stretta tra Confindustria e i sindaci. E intanto le modifiche al Piano non ci sono ancora. "La scadenza di fine agosto non è quella a cui vi consigliamo di attenervi", raccomandano dalla Commissione. Ma di sviluppi concreti non ce ne sono
La sollecitazione è stata formulata in maniera chiara. “La scadenza finale non è quella a cui vi suggeriamo di attenervi”. Non aspettare il 31 agosto, insomma: questo è il consiglio che gli ispettori della Commissione europea, arrivati a Roma, hanno offerto al governo italiano. E certo bastavano i ritardi accumulati, le titubanze fin qui esibite, a lasciare intendere che sulla modifica del Pnrr e sul varo del RePowerEu difficilmente Raffaele Fitto e Giorgia Meloni arriveranno a chiudere il dossier prima di quella data fatale. E però, ai funzionari arrivati da Bruxelles è stata offerta un’ulteriore, tangibile dimostrazione di come le lentezze del Recovery italiano siano anche dettate da tensioni politiche tutte interne all’esecutivo. Ecco allora il Mef di Giorgetti che s’ammutina contro Palazzo Chigi, e il Mit di Salvini che non vuole cedere a Fitto, e la premier stretta tra Confindustria e i comuni.
E sì che tutto era iniziato col galateo delle presentazioni. Per la prima volta è stato infatti Carlo Alberto Manfredi Selvaggi, il magistrato voluto da Fitto a capo della nuova Struttura di missione per il Pnrr, a fare gli onori di casa, lì al tavolo ellittico allestito nella sala polifunzionale della presidenza del Consiglio, a due passi da Piazza Colonna, di fronte agli ispettori della Commissione. Ed era naturale, allora, che l’incontro del mattino si soffermasse sull’illustrazione della nuova governance, con tanto di introduzione dei quattro direttori generali, freschi di nomina, che di Manfredi Selvaggi saranno i vice: ecco dunque Antonio Plamisano, storico consulente di Fitto, e Giuseppe Tomasicchio, ordinario di ingegneria all’Università del Salento; e poi Nadia Linciano, già responsabile del Centro studi di Consob, e Ginevra Bruzzone, unica superstite della precedente cabina di regia del Pnrr.
Solo che i nuovi innesti non hanno oscurato le assenze. Notate, non a caso, dai tecnici di Bruxelles. Dal Mef era stato infatti delegato Riccardo Barbieri, il nuovo dg del Tesoro, al posto di Carmine Di Nuzzo, che per più di un anno è stato il riferimento costante della Commissione in qualità di responsabile dell’ormai dismesso servizio centrale sul Pnrr. Nuova governance, nuove consuetudini, dunque. Solo che di dovere intervenire a nome del Mef, su richiesta degli ispettori, è toccato a Luca Mattia, giovane dirigente di VIa XX Settembre, in servizio dall’ottobre scorso presso il neonato ispettorato per il Pnrr. Uno, insomma, dei collaboratori di Di Nuzzo. E così, dopo l’intervento di Mattia, quando Manfredi Selvaggi ha preso la parola per chiedere ai responsabili delle varie unità di missione disseminate nei ministeri se volessero intervenire, c’è stato un lungo momento di silenzioso d’imbarazzo – “Nessuno ci aveva chiesto di preparare nulla, nei giorni scorsi” – e poi il nulla.
Dettagli, si dirà. Ma per chi conosce l’entropia dei malumori che da mesi agitano i rapporti tra Mef e Palazzo Chigi, tanto è bastato per convincersi che sì, il cambio di assetto non era casuale. Del resto perfino a Bruxelles è stato intercettato con una certa curiosità il bisticcio sotterraneo tra il ministero di Fitto e la Ragioneria generale interno alla revisione della Relazione semestrale sul Pnrr: cifre modificate, previsioni riviste, interi passaggi sulla stima finanziaria del Recovery cancellati dai tecnici di Giorgetti.
Il resto dei dissidi, poi, s’è squadernato col passare delle ore, incontro dopo incontro. Perché quando gli ispettori di Bruxelles hanno illustrato un primo resoconto sulle poche, parziali carte già inviate da Palazzo Chigi il 24 maggio scorso, e hanno sollecitato il governo a definire quanto prima il resto del dossier sulle modifiche del Pnrr, si sono trovati di fronte obiezioni discordanti di ministeri diversi. Perché Matteo Salvini, al quale pure tocca gestire la partita più proibitiva delle infrastrutture, vuole che si proceda a una riallocazione automatica dei fondi inutilizzabili allo stesso contraente. Per questo i tecnici del Mit hanno elaborato uno schema in base al quale, ad esempio, i finanziamenti della ormai scartata Roma-Pescara restino nel fondo di gestione di Rfi. Il che complica il piano di revisione del Piano: ma come ottenere altrimenti che Salvini ammetta la resa e rinunci a una parte del suo budget? Altre soluzioni ci sarebbero, in teoria. Nel pomeriggio di ieri, non a caso, la delegazione di Confindustria ha rinnovato la sua proposta: convertire i fondi non spendibili in incentivi agli investimenti alle imprese. Céline Gauer, coordinatrice della squadra di tecnici di Bruxelles, ha ribadito le raccomandazioni già espresse due mesi fa a Carlo Bonomi: e cioè che l’operazione in teoria è fattibile, purché si rispettino gli obiettivi di ripartizione della spesa a livello territoriale e i parametri green. Meloni non sarebbe neppure contraria: ma questo significherebbe sottrarre fondi ai sindaci, con le polemiche politiche che ne conseguirebbero.
Eccole, dunque, le complicazioni della politica. A cui resta insensibile lo scorrere del tempo, se è vero che gli incontri riprenderanno oggi con al centro le incognite sulla quarta rata, quella che scadrebbe a fine giugno ma che Fitto ha già spiegato che chiederà di posticipare, con particolare attenzione sul tema del Superbonus. Il tutto, con la terza rata di dicembre che ancora resta sospesa e col RePowerEu da definire. Strani cortocircuiti contabili, dunque. Ieri, per dire, Fitto ha incontrato a Strasburgo con Johannes Hahn, commissario per il Bilancio. Al centro del colloquio, la richiesta di utilizzare i circa 80 miliardi di fondi non spesi del Next Generation Eu per finanziare un fondo sovrano europeo. Circa, perché in effetti è proprio l’Italia l’unico paese a non avere ancora chiarito quanti sono i soldi che intende richiedere per il RePowerEu.