Nei corridoi europei
Il Ppe ha bisogno di un grosso partito in Italia. La scelta spetta a Meloni
Le due possibilità dei popolari europei con la leader di Fratelli d’Italia: un partito unico stile Popolo della Libertà a parti invertite o la creazione di un sottogruppo dove far confluire i transfughi. La scadenza sono le elezioni polacche d’autunno
Bruxelles. Partito popolare europeo cerca partito nazionale, possibilmente italiano, che possa conquistare una trentina di seggi, il minimo necessario per mantenere il suo ruolo di principale gruppo nel Parlamento europeo e preservare il suo status di partito più influente dentro l’Unione europea dopo il 2024. In questo annuncio – mai pubblicato, ma che sintetizza il pensiero della leadership del Ppe da quando Forza Italia registra risultati elettorali a cifra singola – stanno tutti i dilemmi che Giorgia Meloni deve risolvere prima delle elezioni europee del prossimo anno. Per ragioni aritmetiche e politiche, una maggioranza tra il Ppe, le destre sovraniste (i Conservatori e riformisti europei) e anti europee (Identità e democrazia) è esclusa. Per ragioni politiche e personali, un ingresso della Lega con Matteo Salvini come leader è impensabile. Ma, in un modo o nell’altro e a certe condizioni, il Ppe sta pensando di aprire le porte a Fratelli d’Italia. Ancora di più dopo che Silvio Berlusconi, con la sua capacità ogni volta di risorgere politicamente ed elettoralmente, non c’è più. “Forza Italia è il nostro riferimento in Italia. Ma il processo di scomparsa è in corso da tempo”, spiega a Foglio una fonte del Ppe: “Non possiamo permetterci che da due dei più grandi paesi dell’Ue, Francia e Italia, arrivino una manciata di deputati popolari invece che trenta”. Un invito formale o un accordo di ingresso sono ancora lontani. Ma alla fine “tocca a Meloni decidere dove e cosa vuole essere in futuro nell’Ue”, dice la fonte del Ppe. Il Ppe si presenta come il gruppo dominante al Parlamento europeo e la sua influenza sull’Ue è incontestabile.
Ma la sua forza numerica si è deteriorata costantemente nel corso degli ultimi venticinque anni. Al Parlamento europeo aveva più del 37 per cento dei seggi nel 1999 contro il 24 per cento nel 2019. Attualmente il gruppo dei popolari ha 177 deputati su 705 ma, secondo le proiezioni in vista delle europee del 2024, potrebbe scendere attorno a 160. Anche se un sorpasso è molto improbabile, il vantaggio del Ppe sui Socialisti & Democratici si sta assottigliando. Nelle altre istituzioni dell’Ue ormai è quasi parità: popolari, socialisti e liberali hanno più o meno lo stesso numero di leader al Consiglio europeo e di membri della Commissione. Non pesano solo i numeri: per la prima volta dagli anni Ottanta, nessuno dei leader di Francia e Germania appartiene al Ppe. Un presidente francese o un cancelliere tedesco contano molto più di un premier greco, croato, lettone e austriaco messi insieme. Le oscillazioni nazionali hanno un impatto nell’Ue. In Svezia e Finlandia i cristiano-democratici stanno tornando al potere, ma solo grazie ad accordi di coalizione o appoggio esterno con partiti sovranisti che hanno recuperato molti elettori moderati. In Belgio e nei Paesi Bassi i cristiano-democratici sono quasi scomparsi. Il Partido Popular spagnolo e la Cdu tedesca sono in ripresa, dopo un periodo di pesanti perdite elettorali. Negli altri due grandi paesi dell’Ue, Francia e Italia, il tracollo dei partiti del Ppe è strutturale: i Républicains e Forza Italia sono più vicine allo zero che al tradizionale 25-30 per cento.
Se la Francia è data per persa, in Italia il Ppe vede qualche possibilità di recuperare un pacchetto di seggi consistente, che gli permetterebbe di fermare il declino nell’Ue e riprendere un netto vantaggio sui socialisti. Non si tratta di escludere Forza Italia, ma di far entrare un altro partito che sia almeno sopra il 15 per cento. Quando era nato il governo di Mario Draghi, alcuni avevano accarezzato l’idea di un ingresso della Lega senza Matteo Salvini come leader. Tra l’alleanza storica con Marine Le Pen nel gruppo anti europeo Identità e democrazia, l’ammirazione per Vladimir Putin e le campagna per uscire dall’euro e dall'Ue, Salvini è considerato troppo tossico e inaffidabile. Ma i contatti con Giancarlo Giorgetti e Luca Zaia non hanno prodotto risultati. La poderosa progressione di Fratelli d’Italia alle ultime elezioni italiane ha spostato l’attenzione verso il partito di Meloni, che al Parlamento europeo siede nel gruppo dei Conservatori e riformatori (Ecr) insieme – tra gli altri – ai nazionalisti polacchi del PiS e all’estrema destra spagnola di Vox.
Il calo complessivo del Ppe rende aritmeticamente impossibile una nuova maggioranza tutta a destra con conservatori e anti europei. I liberali di Renew, creatura di Emmanuel Macron, non hanno interesse ad aggiungersi legittimando gli alleati di Marine Le Pen. La Cdu tedesca ha detto di non voler collaborare in alcun modo con Alternativa per la Germania. Un’alleanza con l’ultradestra rischierebbe di provocare una fuori uscita di deputati nordici e dell’est dal Ppe. Dal suo arrivo a Palazzo Chigi, Meloni è dunque osservata speciale. Concentrandosi sulle campagne identitarie in Italia senza esportarle in Europa, finora la leader di FdI non ha commesso errori grossolani, né superato linee rosse dell’Ue. Il sostegno all’Ucraina è stato sicuramente più forte di quello del Cav., che ha messo in imbarazzo il Ppe con dichiarazioni pubbliche e private a favore di Putin. La decisione di Meloni di votare a favore del compromesso sul nuovo Patto su migrazione e asilo è un altro test di euro-compatibilità superato. Due sono le possibilità di cui si discute nei corridoi: una riedizione del Popolo della Libertà a parti invertite per Forza Italia, con un partito unico cristiano-conservatore italiano guidato da Meloni parte del Ppe; oppure una riedizione della formula “Ppe-Democratici europei”, con un sottogruppo dei popolari dove dovrebbero confluire i transfughi più moderati dell’Ecr capitanati da FdI, come era stato fatto tra il 1992 e il 2009 per accomodare i Tory britannici euroscettici. Meloni dovrebbe rinnegare definitivamente una parte del suo passato, abbandonare i polacchi del PiS e gli spagnoli di Vox, incompatibili con il Ppe, e rinunciare all’idea di costruire un polo della destra sovranista con l’ungherese Viktor Orbán. Il Ppe dovrebbe attendere le elezioni in Spagna a luglio e in Polonia in autunno prima di fare passi formali.