Il racconto
I funerali del Cav: Conte va in osteria, ma voleva esserci. Al contrario di Schlein
Esequie rossogialle: il capo del M5s ha preferito a malincuore non irritare la base, ma aveva un rapporto con Berlusconi. La leader del Pd, invece, è stata convinta dai saggi del partito e martedì ha chiamato Marina
“Un baccalà alla romana, grazie”. Giuseppe Conte voleva partecipare ai funerali del Cav., ma il suo partito non glielo avrebbe perdonato. Così alle 15 è seduto in religioso silenzio. Non nel Duomo di Milano, ma all’osteria “Poldo e Gianna” con Stefano Patuanelli e Paola Taverna (di nero vestita). Elly Schlein, invece, ha fatto di tutto per non esserci: i saggi del Pd l’hanno convinta. Dinamica opposta a quella di Conte.
Il capo del M5s ha detto che non partecipa al Pride perché “non va nemmeno ai matrimoni e ai compleanni” (ma a quello di Goffredo Bettini c’era: ci sono le prove su Dagospia). Figurarsi ai funerali. La verità è che “ha dovuto scegliere tra l’uomo di stato e il leader di una comunità”. A malincuore, racconta chi lo conosce bene, ha vinto la seconda opzione. Nessun rappresentante del M5s era presente a Milano. Eccezion fatta per Stefano Buffagni che ormai è solo un ex tornato allo studio del papà commercialista: è fuori dal giro. Conte voleva evitare la spinta “agiografica”, dicono dal suo entourage. Così si è sfilato: meglio andare in osteria durante il funerale. Tuttavia con Berlusconi ebbe un rapporto personale più che buono. Telefonate dirette e chiacchierate “sui temi” con Gianni Letta (esempio: Mediaset e Vivendi). Nel 2018 durante le consultazioni per la nascita del primo governo pochette, il Cav. si presentò al cospetto dell’avvocato di Volturara Appula con un set di cravatte (Marinella) come gentile omaggio (pare non accettato). I due iniziarono a parlare. Il leader di Forza Italia cominciò a squadernargli i suoi successi, subito interrotto: “Presidente, la sua vita la conosco bene: si trova nei libri di storia. Ma che dico? Nelle enciclopedie!”. Seguirono risate compiaciute e soprattutto ottimi responsi arrivati dal mondo legale del Cav. a quello dello studio Alpa, casa madre contiana. Berlusconi gli fece recapitare in più di un’occasione il seguente messaggio: “Ma che ci fa lei a capo di quella banda di matti, lei è così diverso: ci ripensi”.
In effetti, senza scadere in paragoni irreali, il leader M5s ha fatto dei modi suadenti e affabulatori (“ho convinto la Merkel!”) e di un certo stile estetico una cifra politica più simile al berlusconismo (alzi la mano chi l’ha mai visto con la barba incolta) che al grillismo spettinato e berciante che sale sui tetti e si veste di vaffa. “Ma sulla giustizia erano agli antipodi”, mettono le mani avanti, dicendo lo scontato, i colonnelli pentastellati. “Forse gli stava più simpatico Silvio di Beppe”, scherza qualche impertinente. Comunque quando andò in crisi il governo Conte II dal mondo del Cav. arrivò la proposta di un patto di non belligeranza: vi cerchiamo noi, semmai, i responsabili, ma non andate addosso a Forza Italia. Finì male, perché di Gianni Letta ce n’è uno solo. Nel giorno dell’avvento di Mario Draghi anche l’ormai ex premier si esibì in un suo personale predellino. Non in piazza San Babila, come quello originale, ma fuori da Palazzo Chigi, con un comizio un po’ sudamericano davanti a un banchetto, candidandosi di fatto alla guida del M5s. Corpo e teatralità.
Tra i due c’era un filo e non solo per le parole d’affetto e di stima che il Cav. faceva piovere addosso all’interlocutore lusingato. Capitò quando Conte abbandonò in anticipo un Consiglio europeo per volare ai funerali della governatrice azzurra Jole Santelli, ma soprattutto per la gestione del Covid, che colpì, senza abbatterlo, l’imperatore di Arcore: “Ottimo lavoro, se serve può contare su FI”. Ecco, per tutte queste ragioni, oltre che per lo spirito sempre rivendicato di uomo di stato, il capo del M5s sarebbe voluto esserci a Milano. Però lunedì è bastata una nota civile – in ricordo “dell’imprenditore e politico che in ogni campo in cui si è cimentato ha contribuito a scrivere pagine significative della nostra storia” – a far saltare la mosca al naso alla base politico-editoriale grillina. “Ma come? Tu dici così? Noi da venti anni facciamo le tricoteuse davanti ai tribunali del Caimano”. I grillini, si sa, la sera andavano ad Arcore, a sgranare sentenze come rosari.
Per un rifiuto con i pugni in tasca c’è stata la presenza “forzata” di Elly Schlein. Lunedì, appena diventata pubblica la morte di Berlusconi, la segretaria del Pd era titubante sul rimandare la direzione del partito: “Dobbiamo proprio?”. Poi le hanno spiegato che avrebbe dovuto fare un video e una nota. E anche qui lunga trattativa. Fino a quella finale e snervante per annunciare la sua presenza a Milano. Ore di buio nello staff. E di telefonate incrociate. Sono intervenuti, con messaggi trasversali, i saggi del Pd. Quella filiera che abbraccia mondi gentiloniani-prodiani-franceschiniani. Alla fine l’ha accompagnata, forse spinta fino alle navate del Duomo, Francesco Boccia, capogruppo di mondo. Schlein è una millennial, e al di là del nonno Agostino Viviani socialista-garantista molto stimato dal capo di Forza Italia, è cresciuta nell’antiberlusconismo militante. E non voleva esserci (anche se martedì ha chiamato Marina Berlusconi al cellulare per farle le condoglianze). Conte dopo il baccalà si è buttato sull’organizzazione della manifestazione di sabato sul lavoro con la delegazione dell’Arci. Chissà se Schlein ci sarà: sta per iniziare un altro travaglio.