oltre i codici
Quell'Italia non abituata a Berlusconi
Il funerale vissuto con quel qualcosa di molto ambrosiano, di molto Duomo e con quel tanto di popolo rispettosamente chiassoso e colorato dilagante in piazza. Un addio che non è propriamente un’abitudine nell’immagine consueta del disbrigo dei doveri di Stato
L’Italia che è abituata a tutto non ha mai avuto abitudine, e manco se l’aspettava, di uno come Silvio Berlusconi. S’è capito ieri, a Milano, con la sua uscita di scena, il suo funerale. Una cerimonia vissuta con quel qualcosa di molto ambrosiano, di molto Duomo e con quel tanto – tantissimo – di popolo rispettosamente chiassoso e colorato dilagante in piazza.
Un addio che non è propriamente un’abitudine nell’immagine consueta del disbrigo dei doveri di Stato. E l’Italia che non ce l’aveva questa abitudine – con tutti i venerati codici della retorica dismessi già nel coro della tifoseria – mette in conto che quella del Cav. è proprio una storia che non finisce mai. Ad aspettare il feretro c’era lui stesso in forma di statuina dei presepi di via San Gregorio Armeno a Napoli, c’era lui stesso infilato nel costume del Gabibbo, c’era lui stesso col colbacco siberiano, c’era lui stesso con la bandana, c’era lui stesso a far oplà dal vulcano artificiale nel suo giardino e – a proposito di giardino – c’era lui stesso nell’infinità dei tulipani di tutti i colori, per poi caracollare in alto coi cinquemila palloncini fatti alzare in volo dai suoi cinquemila collaboratori di Cologno Monzese.
A tutto questo l’Italia che è abituata a tutto, non era abituata.