La nota del governo
Meloni usa il golden power su Pirelli. Bene. Ma qualcosa non torna
Secondo le linee della presunta bozza circolata, il gruppo controllato dal partito cinese dovrà astenersi dalla direzione della multinazionale. Ma le sole prescrizioni rischiano di non mutare comunque lo stato di fatto
Le indiscrezioni circolate sulla misura di golden power attesa entro pochi giorni da parte del governo italiano sul caso Sinochem-Pirelli lasciavano a prima vista sostanzialmente interdetti. E sono state non del tutto fugate dalla nota di Palazzo Chigi uscita in prima serata mentre questo giornale andava in stampa. In apparenza, le linee della presunta bozza circolata sembravano molto prescrittive, e volte alla garanzia che non siano gli ordini impartiti dal Partito comunista a Pechino a poter influire sulla governance Pirelli, e che tanto meno Pechino possa mettere le mani su tutti i dati e l’experience performance delle tecnologie digitali e sensoristiche sviluppate in questi anni da Pirelli.
Anche perché queste tecnologie sono il vero traino del successo di Pirelli nel segmento più avanzato degli pneumatici sulla scena globale. Sinochem dovrà dunque astenersi dall’attuare direzione e coordinamento della Pirelli, direttamente o indirettamente. E il divieto si estenderebbe anche al fornire ai consiglieri di amministrazione e ai sindaci della Pirelli, nominati nelle proprie liste, specifiche direttive che possano determinare attività indiretta di direzione e coordinamento. Mentre Pirelli dovrebbe rifiutare l’attuazione di qualsiasi iniziativa gestionale o organizzativa che provenga dal Sasac, la commissione di Stato cinese sotto il cui controllo con Xi Jin Ping è ricaduto l’occhiuto coordinamento di tutte le partecipazioni cinesi in imprese estere. Segue poi una lunga lista di dati che non vanno consentiti ai cinesi: tutte le tecnologie e le proprietà intellettuali collegate ai Cyber Tyre, progettazione e a delle linee produttive dedicate a tali produzioni, i sistemi informativi e gestionali e ogni richiesta di trasferimento su server cinesi di qualsivoglia aspetto Ict della gestione e controllo della Pirelli.
La nota serale del governo ha aggiunto che verrà previsto un nulla osta di sicurezza strategica con limiti precisi di accesso alle informazioni interne. Nonché la necessità che per decisioni strategiche aziendali sia previsto in cda una maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri. E’ su questi due ultimi punti che bisogna capire meglio che cosa ha in mente il governo, e cioè se la misura sia efficace o no. Infatti in apparenza Pirelli sembra salva. Ma l’apparenza può ingannare. Le sole prescrizioni non muterebbero lo stato di fatto, cioè il controllo cinese della società e dei suoi asset strategici: se le minoranze non presentassero proprie liste in assemblea, a oggi la maggioranza cinese in Pirelli eleggerebbe 11 amministratori su 15 della società, con un presidente ad amplissimi poteri statutari e piena possibilità di accesso ai dati aziendali. In che modo glielo si impedirebbe? Negandogli il visto di sicurezza o con un carabiniere che vigila se il presidente riceve questo o quel dirigente aziendale e gli chiede i dati? Oppure pensiamo davvero che lo strumento per impedirlo sia l’ultima parte della misura annunciata, e cioè quella in cui si scrive che in caso di violazioni dei divieti prima richiamati lo stato si riserva di riaprire il dossier assumendo misure più decise?
E’ esattamente quello che va evitato: Pirelli non può essere lasciata davanti ai mercati in una situazione che la espone a rischi e incerti così rilevanti. I nostri dubbi non sono campati in aria. Li traiamo direttamente dal recente rigetto che la quarta sezione del Consiglio di stato ha riservato, con sentenza 289 del 9 gennaio scorso, all’opposizione contro il divieto posto dal governo italiano all’acquisizione da parte della stessa Sinochem, attraverso la sua controllata svizzera Syngenta che è player mondiale in campo agricolo, delle società attive nel settore dei mangimi controllate in Italia dal gruppo olandese Verisem.
Ai punti 22, 22.1 e 22.2 della sentenza si legge esplicitamente che “l’opposizione al divieto ignora chiaramente i motivi che lasciano stimare la costitutiva insufficienza dell’imposizione di prescrizioni che non solo consentirebbero il perfezionamento dell’operazione di acquisto, ma produrrebbero effetti pecuniari e oneri obbligatori di complessa realizzabilità in caso di inottemperanza da parte del destinatario cinese. L’imposizione di prescrizioni, pur se stringenti, sarebbe di ardua implementazione, stante la natura del detentore sostanziale del controllo della società acquirente (ossia il Governo cinese)”. E’ il Consiglio di stato, in quella sentenza, a dire che non bastano le prescrizioni, per quanto energiche. Altrimenti il rischio di esposizione diretta alle sanzioni degli Stati Uniti resta, e questo rischio per Pirelli va sventato dal governo con ogni energia. Ci pensi bene il governo, dunque, a limitare con precisione i poteri della quota cinese se non intende disporre una sua discesa nel capitale societario.