Il caso

Partito e Mediaset, le rassicurazioni di Meloni a Marina Berlusconi. E dentro FI patto Tajani-Ronzulli

Simone Canettieri

La premier vuole congelare FI ed è pronta al golden power per difendere l'azienda televisiva. Oggi la conferenza stampa dell'unità del partito azzurro: il ministro degli Esteri diventerà presidente reggente

Una Tesla bianca si è fermata davanti a Palazzo Chigi. Non ne è sceso nessuno? Non proprio: era Elon Musk. Il primo magnate globale ha visto prima di pranzo Antonio Tajani e nel pomeriggio Giorgia Meloni. “In Italia dovete fare i bambini”, ha detto alla premier. E si è raccomandato “deregulation in Europa” per i mercati, a partire da quello delle auto. L’avvento di mister Twitter e molto altro – che oggi sarà corteggiato anche da Emmanuel Macron a Parigi – è un raggio di sole improvviso nel primo giorno di ritorno alla normalità del governo, dopo i funerali di Silvio Berlusconi.  Meloni torna al lavoro, in modalità Giorgia freezer: vuole congelare Forza Italia e soprattutto Mediaset dalla scalata di Vivendi, a costo di usare la golden power

Il patto con Marina Berlusconi avrebbe appunto due corni: nessuna Opa sul partito e tutela delle aziende di famiglia (dove lavora anche il compagno della premier Andrea Giambruno). Meloni sa che con la scomparsa del Cav. il mondo è cambiato, ma per ora, almeno fino alle Europee bisogna usare, come dicono dentro Fratelli d’Italia, la tecnica di El Cid Campeador. Usare cioè l’immagine di Berlusconi, anche se non c’è più, per andare avanti senza scossoni. Per paradosso l’operazione sembra più facile con le aziende, visto che lo scudo del golden power, agitato da Giovanni Donzelli, è lì, pronto a essere usato in quanto “tutte le nazioni moderne cercano di difendere i propri interessi.

La Francia ha opposto l’interesse nazionale per questioni molto più deboli delle reti televisive”. Discorso diverso per il partito azzurro, costretto  a lasciare la storica autocrazia per tentare la via della democrazia interna anche eterodiretta. Meloni al massimo può non accogliere parlamentari e ceto politico nel suo partito e augurarsi che Matteo Salvini faccia altrettanto “sperando che Forza Italia regga”, come spiega un ministro di FdI. Però le faccende interne rimangono matasse da sciogliere. In questo senso si registra una mezza notizia: Licia Ronzulli e Antonio Tajani stanno dialogando. C’è aria di accordo, di patto.

La capogruppo al Senato, diventata minoranza, rimarrà tale e non sarà cambiata. E questa mattina parteciperà a una conferenza stampa proprio insieme al vicepremier azzurro e all’altro capogruppo alla Camera, tajaneo, Paolo Barelli (sarà presente anche l’europarlamentare Fulvio Martusciello). Sarà la foto dell’unità interna, ma anche dell’andiamo avanti tutti insieme nel nome del grande capo scomparso. Dai cassetti è stato spolverato lo statuto, mai usato, di Forza Italia. L’iter burocratico, termine che il vecchio leader deplorava, prevede che in caso di “impedimento permanente” del presidente l’ufficio di presidenza ne prenda atto e convochi subito il consiglio nazionale del partito (altro organismo pressoché vergine) per l’elezione del reggente. Dunque di Antonio Tajani.

Allo stesso tempo il consiglio convocherà il congresso (altra parola tabù fino alla mattina di lunedì scorso) per l’elezione del nuovo leader. Quest’ultimo passaggio è previsto in un futuro non proprio prossimo. In mezzo ci saranno le Europee. L’ala ronzulliana per siglare un patto vuole piccoli e grandi riconoscimenti, come la riabilitazione di Alessandro Cattaneo, saltato da capogruppo alla Camera e messo a fare il responsabile dell’organizzazione. Dettagli su cui Meloni non vuole entrare, l’importante è che non ci siano scossoni tali da provocare diaspore. Questa è l’unica preoccupazione della presidente del Consiglio, molto attenta alle sorti di Forza Italia in ottica Bruxelles. Seppur piccolo rimane comunque un ottimo e l’unico biglietto da visita per l’accordo fra Popolari e Conservatori. Tuttavia il futuro rimane una dimensione  inedita per Meloni. Il ricordo di Berlusconi è troppo forte e ieri si è affacciato in Consiglio dei ministri durante l’approvazione del primo pacchetto di riforme sulla giustizia (c’è stato il via libera all’unanimità). “Sarebbe soddisfatto di questi provvedimenti”, ha detto Tajani. “Spiace che  non riesca a vedere queste norme”, ha aggiunto il ministro della Giustizia Carlo Nordio.  Meloni, con il vicepremier azzurro, ha dedicato il Cdm al leader scomparso. Tratteggiando la figura dell’uomo, tra aneddoti e commozione. Un tributo doveroso per la premier che ieri ha capito di essere davanti a una pagina nuova della sua biografia. Sicché per il momento è meglio congelare i fronti complicati dentro il partito azienda rimasto orfano.                

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.