Il ritratto
L'evangelista Tajani, tra Giorgia Meloni, Marina Berlusconi e l'anima del Cav.
Prende il testimone di Forza Italia. Per Meloni è il passaporto per l'Europa. Ha già ricucito con Licia Ronzulli. Sogna il Quirinale
E’ il primo inviato speciale dall’ al di là: Antonio Tajani, il medium. Parla con lui, con l’anima di Silvio, come Paolo Conte, nella canzone parlava con Gong-Oh, lo spirito lontano, “guarda, cade una matita/ lo sento che lui è già qui”. Ma Antonio, il dolce Antonio, parla anche con Marina Berlusconi, l’altro al di là di Forza Italia, che “mi ha autorizzato a rendere pubblica la nostra telefonata”. Solo un giornalista, come è stato Tajani, poteva raccogliere il testimone di Berlusconi, perché Tajani è il testimone “che Silvio resta vivo”. Antonio è l’evangelista.
Giorgia Meloni dice ora di lui: “E’ il giudice di Forza Italia. La Cassazione”. Non c’è dell’ironia. Tajani ha davvero amato, e voluto bene (ricambiato) a Berlusconi e, ieri, davvero avrebbe voluto essere inviato all’estero, altrove, come diceva alla fine della conferenza stampa, tenuta in piazza San Lorenzo in Lucina: “Credetemi, avremmo voluto fuggire da un’altra parte piuttosto che essere qui. Credetemi”. Pochi mesi fa, raccontava, felice, di aver avuto tanto dalla vita, lavorato con Montanelli, conosciuto Berlusconi, “ho girato il mondo. Mi sento sempre un inviato”. Quando è stato indicato ministro degli Esteri, ha voluto chiamare al suo fianco, come portavoce, Vincenzo Nigro, che è stato il mappamondo del quotidiano la Repubblica, e che lui, Tajani, definisce “uno dei più grandi inviati italiani”. Tajani si capisce solo attraverso questa figura, la figura dell’inviato. Sono i giornalisti che vivono fuori dalle redazioni e che maturano la serenità del distacco. Tajani è stato per anni l’investimento di Berlusconi in Europa, l’inviato a Bruxelles. A Roma si ubriacavano di gaffe, mentre lui cenava alle otto di sera. E’ stato Tajani a fare eleggere Roberta Metsola, presidente del Parlamento Europeo, e oggi, non appena Antonio chiama, lei, Metsola, prende il primo aereo: “Antonio, dimmi, che ti serve?”. Tajani conosce da quasi vent’anni il Ppe, meglio della sua bocciofila. Chi è che ha bisogno? E’ Tajani o è Meloni? E’ Tajani che deve trattare l’integrazione, per conto di Meloni, tra conservatori e popolari. Ed è sempre lui che accompagna, a Palazzo Chigi, Elon Musk, insieme a Nicola Porro. Era sempre lui, che Marina e Pier Silvio chiamavano per mettere una pezza alle parole del padre su Putin, “che non aiutano le nostre aziende”. E infatti, come diceva ieri il ministro Paolo Zangrillo, scendendo le scale, “nessuno italiano e nessuno, nel centrodestra, può vantare le relazioni di Antonio. Al futuro congresso di Forza Italia mi auguro l’ampia convergenza su Antonio”.
Prima della nascita del governo, Tajani ha sopportato i morsi di Marta Fascina perché, gli diceva, “Antonio, il presidente non è stato coinvolto nella scelta dei ministri. Non va bene, Antonio. Non va bene”. Adesso Fascina la pensa come Tajani. Berlusconi, solo per Antonio, si è inventato la figura del coordinatore del partito, che in quel mondo vale come la promozione, l’unica possibile, prima della sua morte: da inviato a vicedirettore. E’ una carica che, a secondo di chi la ricopre, può fare la fortuna del capo o anticiparne la disgrazia. I vice possono farne la fortuna, se amministrano il potere con la tenerezza, ma possono anticiparne la disgrazia, quando cominciano ad amministrare con la severità del comando. Tajani era per Berlusconi, “il ci pensa Antonio”. Come il capitano Vere di Billy Bud, Tajani ha provato a zuccherare gli ordini, anche spietati, per non permettere che i “cuori caldi, tradiscano i cervelli, che devono rimanere freddi”. Meloni chiedeva ad Antonio di contenere il potere di Ronzulli e Tajani le diceva: “Dammi tempo. Con Licia serve tempo”. Con Meloni (e Gianni Letta, vicedirettore vicario), Tajani ha trattato direttamente i dicasteri. Quando una parte di Forza Italia lo ha saputo, mancava poco che lo sbranasse. E lui chiedeva scusa. In FI cominciano a chiamarlo “il palafreniere” di Giorgia, ma, per Meloni, Antonio è in realtà l’irrinunciabile, “perché come dice Antonio, la Tunisia sta sfuggendo di mano. Come dice Antonio, è necessario ricostruire un ponte con l’Egitto”. Alla stessa maniera degli inviati, Tajani ha studiato la mappa Meloni e ha compreso quale fosse il suo posto nella capitale di governo: “Cosa si può dire di una donna che ha trascinato un partito dal 4 al 26 per cento?”. Lei, la premier, parlando ai suoi: “Tutti sottovalutano Antonio, ma guardate di cosa è stato capace”. Tajani aveva promesso al suo Barelli, estromesso dal governo, di attendere, perché la giustizia sarebbe stata ripristinata. E lo è stata.
Ogni settimana, Tajani spediva almeno un inviato da Berlusconi. Erano ex ministri, grandi e antichi imprenditori, che avvisavano il capo: “Stai sbagliando con Meloni”. Quando Forza Italia ha smesso di attaccare FdI, Meloni ha esclamato: “Questo è Antonio!”. Ma Antonio è lo stesso, che ieri, dopo la conferenza, ha pranzato con Ronzulli, promesso collegialità. E’ della stessa pasta dei Giancarlo Giorgetti. C’è chi scommette che si contenderanno, un giorno, il Quirinale. Sono vasi di coccio. E’ vero. Lo sono. Ma è nella terracotta che crescono le piante ed è lì che l’acqua rimane fresca. E’ sui vasi di terracotta che le civiltà tramandano gli amori e i loro inconsolabili lutti.