(foto Ansa)

i rilievi di via nazionale

Cosa non va nel ddl Calderoli sull'autonomia differenziata secondo Bankitalia

Francesco Bercic

Le raccomandazioni di Palazzo Koch: contenere i rischi di ampliamento dei divari fra regioni, preservare l’equilibrio dei conti pubblici, garantire trasparenza delle spese sostenute. L'invito alla “gradualità”, mentre resta l’incognita delle risorse

La riforma per l’autonomia differenziata a firma del ministro leghista Roberto Calderoli prosegue il suo corso, inseguita però da molte ombre. Dopo l’approvazione ultimata dal governo, sono iniziati i sei mesi per la ricognizione delle materie specifiche a cui applicare i Lep, i “livelli essenziali di prestazione” che le singole regioni dovranno rispettare; ne serviranno poi altri sei per la definizione dei costi e dei fabbisogni di ciascuno dei venti enti locali, in coordinamento con Palazzo Chigi. Proprio ora però che si entra nel vivo della riforma, ad esprimere dubbi sulle prerogative del disegno di legge del governo è la Banca d’Italia, in una relazione che, oltre a rilievi critici, offre alcuni consigli su come indirizzare i prossimi passi.

La parola chiave è “gradualità”. Bankitalia invita alla prudenza, per valutare “attentamente tutte le implicazioni dell’attuazione”, evitando così “il rischio di innescare processi difficilmente reversibili e dagli esiti incerti”. Ci sono infatti “alcuni aspetti trascurati dal disegno di legge”, scrive l’organo di Via Nazionale: e non aspetti di poco conto. Sono tre i diktat di Bankitalia: evitare una marcata differenziazione fra le regioni, che finirebbe per creare un’Italia ancora di più a macchia di leopardo; preservare gli equilibri di finanza pubblica, allineando di volta in volta risorse a fabbisogni; garantire trasparenza e rendicontazione delle spese sostenute.

 

Il primo punto è, di fatto, un monito a non sacrificare sull’altare della competitività la già martoriata compattezza del paese. “I vantaggi derivanti dallo stimolo a una maggiore concorrenza tra le varie aree del paese devono essere superiori ai costi impliciti di una marcata differenziazione normativa”, si legge appunto nella relazione. Perché il presupposto inderogabile rimane quello di “contenere i rischi di ampliamento dei divari territoriali”. Bankitalia mette sul tavolo una soluzione: “La concessione di forme di autonomia potrebbe essere subordinata a un’istruttoria per singola materia”. Cioè, prosegue la relazione, “una documentazione di costi e benefici” derivati dall’“eventuale trasferimento di funzioni”.

 

Gli altri due punti riguardano la gestione della spesa. All’allineamento delle “risorse erariali con l’evoluzione dei fabbisogni” – fermo restando i parametri stabiliti dai Lep – devono seguire “procedure obbligatorie di verifica della spesa sostenuta”. E qui si arriva al vero nocciolo della questione. Il ddl Calderoli, infatti, prevede soltanto un monitoraggio “facoltativo” dei fondi impiegati. Bankitalia ribadisce invece la necessità di “una valutazione rigorosa” che fornisca così un quadro preciso di come viene amministrata la finanza dello stato.

C’è però un problema a monte, cui allude implicitamente anche la relazione di Palazzo Koch. Il testo approvato dal governo, a scopo probabilmente di rassicurazione, ripete più volte che le intese con le regioni non comporteranno “nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”. Ma rimane così l’enigma sulla modalità con cui, concretamente, i Lep verranno finanziati. Una perplessità condivisa anche dalla Commissione europea che, nel suo report sull’Italia risalente a maggio scorso, sottolineava come “senza risorse aggiuntive, potrebbe risultare difficile fornire gli stessi livelli essenziali di servizi in regioni storicamente a bassa spesa”. Con lo spettro di un indebitamento incontrollato spartito fra le venti regioni, proprio ora che il nuovo Patto di stabilità dell’Ue dovrebbe tornare a regolarizzare la spesa pubblica.