(foto Ansa)

L'incontro mignon

Macron-Meloni, il bilaterale con la scusa dell'Expo. E cambia l'ambasciatore francese a Roma

Simone Canettieri

Oggi la premier a Parigi per la candidatura di Roma: tra l’assemblea del Bie e la festa in ambasciata andrà un’ora all’Eliseo. A Roma il diplomatico Briens prende il posto di Masset

Parigi, dal nostro inviato. Nemmeno europeo. Serviva un espediente universale per propiziare l’incontro fra loro due: l’Expo, appunto. Lo sbarco a Parigi di Giorgia Meloni è una faccenda diplomatica che si specchia nei rapporti non proprio fraterni con Emmanuel Macron, e questo si sa. Sette mesi di croccanti polemiche e perfidi dispetti, varie telefonate di Sergio Mattarella per placare gli animi, un bicchiere di vino e un calice di champagne all’hotel Amigo di Bruxelles, una chiacchierata a margine del G7 in Giappone. E poi si ricomincia sempre daccapo. Nous e vous. La premier oggi sta qui – nella città che il prossimo anno ospiterà le Olimpiadi grazie al no di Virginia Raggi su consiglio del meccanico di Di Battista – per tirare la volata alla candidatura di Roma per l’Expo 2030. L’ultima volta che la capitale ci provò si completò l’Eur, ma poi arrivarono le bombe e la guerra. Meloni è accompagnata dal sindaco di Roma Roberto Gualtieri e ha imbarcato con sé il governatore (Fratello d’Italia) Francesco Rocca. Certo, l’Expo 2030, ma qui oggi si incontrano Emmanuel e Giorgia, la scuola dell’Ena contro quella della Garbatella. Sbagliato avere pregiudizi: sono due mondi di nuovo a confronto. È la prima visita della capa della droite italiana sotto la torre Eiffel. Un incontro programmato all’ultimo minuto, se è vero che fino a venerdì sera lo davano ancora in forsissimo e domenica c’era sempre “un venti per cento” di possibilità di forfait.

 

Il bilaterale con Macron, in formato mignon, ci sarà nel pomeriggio: niente pranzi, né cene. Tutto avverrà dopo l’assemblea del Bureau International des Expositions (Bie) e prima della festa nella nostra ambasciata per l’autopromozione di Roma. Un sandwich, anzi un Croque monsieur (o madame). Il protocollo prevede un’ora di colloquio e poi un punto stampa con le dichiarazioni (per le domande vattelapesca). Niente a che vedere con quanto capitato al principe saudita Bin Salman, che oltre a essere amico di Matteo Renzi gode anche di un ottimo feeling con Macron. Sono otto giorni che il sultano poco democratico si è piazzato a Parigi con mezzo governo al seguito. Ufficialmente perché vuole parlare con “ciascun delegato” del Bie. D’altronde gli cura (i cattivi dicono: gli ripulisce) l’immagine una società di comunicazione transalpina. Ieri sera Riad ha festeggiato e propiziato la sua candidatura al Gran Palais Ephemere. Domani i coreani del sud (altri pretendenti all’Esposizione universale con la città di Busan) saranno nell’iconico Palais des Sports Robert Charpentier (già sede del salone del libro, e del potere parigino). Riad è appoggiata dalla Francia – unico voto europeo, al momento  – ed è favorita con 70 voti. Seguita da Roma (quota 50) che corre in tandem con Odessa, in ottica operazione ricostruzione, e poi terza c’è Busan (che dovrebbe avere una trentina di voti). Oggi è l’ultima assemblea,in attesa del responso decisivo di novembre.

 

Prima di incontrare alle cinque Meloni, oggi Macron riceve a pranzo il presidente coreano Yoon Suk-Yeol con una delegazione di imprenditori e conferenza stampa: champagne. Disparità di trattamento? “No, la delegazione coreana aveva fissato questo appuntamento da un mese”, dicono fonti diplomatiche italiane che da ieri trattano con quelle francesi per gestire il bilaterale dei carissimi nemici. Basti pensare che per dare la notizia dell’incontro ufficiale, Palazzo Chigi ha girato nelle chat  il comunicato in francese dell’Eliseo. Una mossa un po’ grossier per il ciclo: chiedete a loro. “Madame Meloni” prima di diventare premier ha sempre detto che non sarebbe mai andata a Parigi per baciare la pantofola dei francesi, sempre avvezzi, sono parole della leader, ad “atteggiamenti predatori” nei nostri confronti. Una sincera antipatia ideologica e culturale contro una presunta subalternità ben espressa da Giovanbattista Fazzolari, sintetizzatore del pensiero a Palazzo Chigi: “Non accetterei mai la Legion d’onore francese: lo vivrei come un tradimento del mio paese”. Ma poi piomba la realtà, e dunque eccoci all’Eliseo per un pezzetto di storia del melonismo dopo la visita al cancelliere Scholz dello scorso febbraio.

 

I rapporti sono destinati ad assestarsi nel nome del pragmatismo, con una punta di reciproco sospetto destinata ad acuirsi in vista delle europee. La visita di oggi è stata in qualche modo fluidificata da quella del presidente della Repubblica Sergio Mattarella con il ministro Gennaro Sangiuliano alla mostra “Napoli a Parigi”, i primi di giugno. Con tanto di pranzo all’Eliseo e raccomandazione del capo dello Stato di cercare una collaborazione (dai sei mesi sono entrati in vigore i Trattati del Quirinale: i due governi non hanno messo ancora in campo iniziative degne di nota). Tra Roma e Parigi, dopo tante parole guerriere, le cose sono comunque in evoluzione. Il 17 luglio cambierà anche l’ambasciatore francese a Roma: il posto di Christian Masset sarà preso da Martin Briens, capo di gabinetto del ministro della Difesa Sébastien Lecornu. Se i monopattini a noleggio (trotinette) stanno per smettere di sfrecciare a Parigi, nel giro di pochi giorni qui ci sarà un bel traffico di ministri italiani.

 

Ieri è stato il giorno di Guido Crosetto per il vertice europeo con i suoi omologhi, mercoledì, quando Meloni sarà già ripartita (forse) toccherà a Giancarlo Giorgetti che rappresenterà l’Italia al vertice per il nuovo patto finanziario mondiale (attesi Scholz e von der Leyen). Su questo durante il colloquio di oggi ci potrebbe essere la prima   convergenza tra Italia e Francia: c’è la rigidità del patto di stabilità da rivedere. Macron e Meloni parleranno anche e forse soprattutto della questione migranti: il 29 e il 30 a Bruxelles c’è il Consiglio europeo, e occorre dare seguito agli accordi raggiunti in Lussemburgo un mese fa dai ministri dell’Interno. Su questo aspetto le scintille sono nelle cose: Italia e Francia concordano sulla dimensione europea dei confini, ma poi quando c’è da discutere di movimenti secondari inizia il brutto. Mentre sulla guerra in Ucraina, al di là della pesante scaramuccia sul mancato invito all’Eliseo quando venne Zelensky a Parigi, la linea dei “cugini” è quasi sovrapponibile. Vedere Meloni all’Eliseo sembrava una missione impossibile: ecco  perché ieri sera alla vigilia della partenza ha ricevuto Tom Cruise a Palazzo Chigi.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.