Il meeting
È ora di pensare alle città per rendere l'Italia più attrattiva
Raffaele Fitto, Adolfo Urso, Guido Crosetto. E poi le relazioni di EY Italy Outlook 2023, da Andrea Illy a Paolo Scaroni. Idee, chiacchiere e ricerche per capire dove può arrivare l’Italia
La revisione del Pnrr farà perno sull’energia. Ma quanto costa la transizione? Cosa accade se si fermano, anche per la recessione tedesca, le esportazioni che hanno tirato, insieme al turismo, il grande rimbalzo post pandemia? I venti sovranisti stanno bloccando gli investimenti esteri? Ne hanno parlato ieri analisti, imprenditori e ministri, discutendo sul rapporto di Ernst & Young sull’attrattività dell’Italia presentato nella sede romana con Massimo Antonelli, ceo per l’Italia e coo per l’Europa occidentale insieme a Marco Daviddi, strategist & transaction market leader. Il direttore del Foglio Claudio Cerasa ha moderato l’evento diviso in tre sessioni in ognuna delle quali è intervenuto un membro del governo. Hanno parlato Raffaele Fitto, responsabile per gli Affari europei al quale fa capo il Pnrr, Adolfo Urso ministro delle Imprese e del Made in Italy, Guido Crosetto titolare della Difesa. Carlo Bonomi ha inviato un intervento da New York dove ha aperto la sede americana della Confindustria.
Per cominciare, una buona notizia: non si vede all’orizzonte nessun rischio di chiusura protezionistica e gli investimenti esteri sono cresciuti più della media negli ultimi due anni. “L’Europa registra un incremento modesto dell’1,4 per cento rispetto al 2021 – ha ricordato Antonelli, ma l’Italia è tra i primi dieci paesi europei per numero di progetti: un segnale di fiducia. Tuttavia, la quota di mercato resta pressoché stabile al 4 per cento, nonostante l’Italia sia la quarta economia europea dopo Germania, Regno Unito e Francia, che detengono rispettivamente il 14 per cento, 16 per cento e il 21 per cento”. Daviddi ha sottolineato che “il 54 per cento delle imprese intervistate ha intenzione di investire in Italia nei prossimi dodici mesi e il 57 per cento ritiene che l’Italia migliorerà la propria attrattività nei prossimi tre anni. I settori digital economy, energia e beni di consumo, incluso l’agroalimentare, sono considerati dalle imprese estere come più promettenti”. Secondo EY, il 50 per cento degli ad europei intende investire sull’adozione di soluzioni di robotica (11 per cento), come misura per aumentare la produttività. I trend convergono sull’intelligenza artificiale (80 per cento delle aziende ci stanno investendo o hanno intenzione di farlo entro l’anno), l’automazione e la robotica (79 per cento), l’edge computing (69 per cento) e l’IoT (62).
Negli ultimi decenni, le imprese italiane hanno seguito due differenti modelli di crescita e sviluppo: uno orientato verso l’esterno, aperto al mercato globale, e focalizzato sull’innovazione tecnologica e di prodotto; l’altro maggiormente ancorato alla dinamica della domanda interna. Le imprese più innovative hanno aperto la strada a una nuova stagione di politiche pubbliche. Oggi la cartina di tornasole è il Pnrr. Raffaele Fitto ha respinto le polemiche sui “presunti ritardi”. Il governo italiano ha messo a raffronto la situazione negli altri paesi. “I piani di Estonia o Malta non sono certo paragonabili. E quanti paesi hanno chiesto la terza rata? Italia, Spagna e Grecia. Non dobbiamo fare in fretta (come ha sollecitato il commissario Ue Paolo Gentiloni, ndr), abbiamo un problema di tempi, ma anche di come spendere”. La revisione sarà conclusa entro agosto. E ruota attorno al RePower Eu. Questa è la vera novità con un progetto basato sugli investimenti in infrastrutture (vedrà protagoniste di primo piano Eni ed Enel) e sugli incentivi a famiglie e imprese, ha spiegato Fitto. E’ aperta la discussione con l’Unione europea la quale teme che troppi fondi siano usati non per aprire cantieri, ma per nuovi sussidi. E’ già successo, in parte, con il Superbonus. Il ministro ha parlato non di assistenzialismo, ma di “rendere strutturali” le spese per sostenere imprese e famiglie. Come, è tutto da vedere.
Andrea Illy presidente di Illycaffè ha invocato una politica industriale sul modello del MITI protagonista del miracolo giapponese. Il ministro Urso è preoccupato dall’effetto Germania, ma ciò non ferma la “nuova politica industriale” il cui simbolo è il decreto che ha salvato l’Isab di Priolo senza nazionalizzarla. Ma gli interventi della mano pubblica si stanno via via estendendo: la ex Ilva dove lo stato vuole coinvolgere un partner privato italiano, il golden power alla Pirelli per bloccare gli azionisti di maggioranza cinesi, la minaccia di usare il bastone alla Electrolux se imprese cinesi volessero impadronirsene. Mosse difensive? “Esempi dello stato stratega”, secondo Urso che ha ricordato nuovi interventi sul riordino degli incentivi, sui chip e sullo spazio con un disegno di legge ad hoc. Paolo Scaroni, presidente dell’Enel, ha presentato un quadro da far tremare i polsi: occorrono 500 miliardi di euro solo per le reti elettriche e bisogna usare l’elettricità per il 50 per cento dei consumi energetici europei rispetto al 20 per cento odierno. Sergio Marullo, amministratore delegato della Angelini, ha messo il dito su una piaga che non riguarda solo la farmaceutica: “I ricercatori italiani sono al secondo posto al mondo per paper pubblicati, ma non si realizza il trasferimento tecnologico”, in sostanza manca il passaggio dalla teoria alla prassi. Sull’effetto sistema ha insistito Crosetto: “La vitalità delle imprese non basta se il sistema Italia non si adegua ai tempi. La crescita dipende da uno stato efficiente che sappia attrarre le migliori energie”.
La “transizione 5.0” ha i suoi costi e dovremo sopportarli, ma sono maggiori quelli della non transizione, ha sottolineato Donato Ferri, managing partner consulting di EY per l’Europa occidentale. “Il modello di sviluppo esclusivamente locale non è sostenibile – ha detto – Per le microimprese italiane comporta una riduzione della flessibilità produttiva pari al 60 per cento e delle collaborazioni con altre aziende del 55 per cento. Lo stesso vale per l’accesso a nuovi mercati. La grande trasformazione attraversa anche le città. Lo Smart City Index di EY è diventato Human Smart City Index, integrando indicatori legati ai comportamenti ecologici, alle competenze digitali dei cittadini e all’inclusione sociale. “Si delinea così sui tre assi della transizione ecologica, della transizione digitale e dell’inclusione sociale, un vero e proprio ranking”. Milano (infrastrutture digitali), Bologna (inclusione sociale) e Torino (transizione ecologica) salgono sul podio delle città a “misura di persona”. Si riducono le distanze tra aree metropolitane e centri più piccoli, ma resta una forte differenza tra nord e sud. Tra le 40 città meridionali solamente tre sono nella prima fascia: Cagliari, Napoli e Bari. Dodicesima è Roma che perde cinque posti, aspettando l’Expo.