il caso
E La Russa sbottò: "Cari senatori di maggioranza, garantite i numeri". Tra Mes e Lotito, la giornata terribile della destra
Il patron della Lazio, deluso sui diritti tv da Meloni, attua la rappresaglia sul dl lavoro e manda sotto i suoi a Palazzo Madama: "E questo è solo l'antipasto". Giorgetti sbugiarda la premier sul Fondo salva stati, e alla Camera tra Lega e FdI parte il rodeo. Tensioni e sciatteria. Ma con FI senza controllo, l'incidente è sempre incombente. Lo sfogo del presidente del Senato
Il pastrocchio è così clamoroso che perfino Ignazio La Russa striglia la truppa. “Quando si inserisce un pacchetto così corposo di emendamenti a un decreto – sbuffa il presidente del Senato durante la conferenza dei capigruppo, a metà pomeriggio – che almeno ci si premuri di garantire i numeri. Sennò si fanno incidenti”. Che sia però solo un inciampo, è difficile da crederlo. Specie se chi dovrebbe quantomeno tentare di dissimulare è invece il primo a rivendicare l’imboscata. “Questo è solo l’antipasto”, dice Claudio Lotito. Lo dice entrando nell’aula della commissione Bilancio, al Senato, insieme al collega azzurro Dario Damiani. Il fattaccio si è appena prodotto. La maggioranza è andata sotto. Dieci a dieci: il centrodestra non ha i numeri per far passare il pacchetto di emendamenti promossi da FdI al dl Lavoro, proprio per l’assenza della coppia di FI. E a poco vale il tentativo vano di una senatrice meloniana che, in un sussulto di fantasia, si alza e grida: “Ma il voto del presidente vale doppio, no?”.
No, ovviamente no. E anzi, è proprio lui, Nicola Calandrini, patriota di Latina, a finire sul banco degli imputati. “Uno scienziato”, urla al suo indirizzo Damiani, con fare di scherno. Come a dire che sarebbe bastato prendere tempo, magari sospendere la seduta. “Perché noi glielo avevamo detto: si doveva far slittare il voto per permettere a noi di FI di partecipare a un’iniziativa di partita”, dirà poi Damiani. E pazienza se l’iniziativa in questione era in verità il brindisi per il suo compleanno, di Damiani, 49 anni freschi freschi. Ed è entrando in commissione che Lotito ci tiene allora a far sapere che non è stato casuale, quel ritardo: “E’ solo l’antipasto”.
E a chi lo ascolta, quel messaggio sibillino appare fin troppo chiaro. “Lotito distratto? Forse è stato fin troppo attento”, sorride amaro Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega. C’era anche lui, del resto, martedì sera, a Palazzo Madama, al vertice di maggioranza convocato per discutere di un altro provvedimento: il ddl contro la pirateria online. Riunione di massimo livello: presente anche Licia Ronzulli, la leghista Erika Stefani, e per il governo il ministro Luca Ciriani. Ed è lì che Lotito è arrivato, urlando e sbattendo i pugni sul tavolo. Vuole una stretta su quella norma, il patron della Lazio: vuole rendere più rigorosi i divieti sui siti che trasmettono illegalmente le partite di calcio. Roba che a Lotito sta a cuore. E però modificare quel ddl significherebbe doverlo poi rimandare alla Camera: Lotito non può essere accontentato. Lui non gradisce, e poche ore dopo serve “l’antipasto”.
Ce ne sarebbe abbastanza, per certificare il subbuglio che c’è in maggioranza, anche per via dell’anarchia che vige in FI. E però, per una coincidenza clamorosa, la baruffa al Senato avviene nelle stesse ore in cui, alla Camera, si consuma la farsa sul Mes. Il parere richiesto da FdI e fornito dal Mef certifica quel che Meloni si affannava a confutare: che, cioè, dalla ratifica del nuovo trattato l’Italia trarrebbe solo benefici. Sono le nove di mattina quando la lettura del documento innesca il rodeo nella commissione Esteri. I meloniani insorgono. Il leghista Paolo Formentini propone allora di votare: “Bocciamo il testo base”. Giulio Tremonti, presidente della commissione, non si oppone. Lo fa invece il renziano Ettore Rosato: “Occhio che se affossate questa proposta facciamo tutti una figuraccia internazionale”. Consiglio non richiesto, ma apprezzato, se a quel punto Giangiacomo Calovini, capogruppo di FdI in commissione, propone di sospendere i lavori fino all’indomani. Istanza accolta, nel divertito stupore del Pd che assiste a quello che Enzo Amendola definisce “uno scontro politico tra Mef e Palazzo Chigi”. Per sedarlo, ieri sera i vertici di Lega, FI e FdI alla Camera si sono confrontati. L’obiettivo resta quello di tirarla in lungo e scardinare il calendario della Camera che vedrebbe l’approdo della ratifica del Mes in Aula il 30 giugno. Rinvio, ultima spes.