tra mef e palazzo chigi
Sul Mes si consuma lo scontro tra Giorgetti e Meloni. E intanto Tremonti se la ride
La propaganda con cui la premier cercava di rinviare la decisione sul Fondo salva stati viene sbugiardata dal Mef: "Dalla ratifica solo benefici per l'Italia". Lo strano ruolo dell'ex ministro, che ha tenuto nascosto il parere di Via XX Settembre per una settimana. La Lega in subbuglio. L'imbarazzo dei vertici di FdI. La strategia dei patrioti resta la solita: tirarla in lungo
Alle sei del pomeriggio Giulio Tremonti passeggia in Transatlantico con l’aria di chi sa ma non dice: “Nego di essere qui”, sorride. Andrea Crippa, vicesegretario della Lega, dopo una concitata chiacchierata coi colleghi di FdI, si stringe nelle spalle: “Il parere sul Mes? Finché non vedo la firma di Giorgetti non mi adeguerò”. Rieccola evocata, dunque, la manina? “Fate voi”. La mano in questione, in verità, è fin troppo visibile: Stefano Varone, capo di gabinetto del ministro dell’Economia. La firma in calce è sua. E basta sentire i piani alti di Via XX Settembre per avere conferma che sì, ovvio che Giorgetti sapeva: al ministero è stato chiesto un parere tecnico sugli effetti finanziari della ratifica del Mes e quel parere non poteva che essere oggettivo. Altro che imboscate. Qui il cortocircuito tra Mef e Palazzo Chigi è alla luce del sole.
Doveva essere la certificazione del rischio. Invece è la conferma dell’ovvio, cioè della convenienza. Giorgia Meloni sperava di avere dal Mef un sostegno per la sua propaganda. Ha ottenuto la confutazione delle sue tesi strampalate. A chiedere quel parere a Via XX Settembre era stato infatti Tremonti, presidente meloniano di quella commissione Esteri che da due mesi cerca ogni pretesto per rinviare la discussione sulla proposta di legge avanzata da Pd e Iv con cui si chiede la ratifica del Mes. L’ultimo stratagemma era parso una furbata: “Chiediamo al Mef una valutazione sui possibili rischi contabili legati al nuovo Fondo salva stati”. Doveva apparire una grande mossa, agli strateghi patrioti.
E invece alle nove di mattina di un mercoledì di giugno, nel bel mezzo dell’ennesimo rodeo sul Mes a Montecitorio, Tremonti apre i lavori della sua commissione distribuendo il documento del Mef. Che da Via XX Settembre è stato spedito il 9 giugno, e dagli uffici di Montecitorio protocollato il 14: perché solo ieri, a una settimana di distanza, sia stato divulgato, non è chiaro. Cristallino è invece il contenuto delle due pagine firmate da Varone. Per il Mef, la ratifica presenta solo vantaggi. “Per quanto riguarda gli effetti diretti sulle grandezze di finanza pubblica”, dalla ratifica del Mes “non discendono nuovi o maggiori oneri rispetto a quelli autorizzati in occasione della ratifica del Trattato istitutivo del Meccanismo europeo di stabilità del 2012”. Il Mef, in sostanza, dice quindi che non c’è alcuna incognita ulteriore rispetto a quelle che in linea del tutto teorica l’Italia ha già sostenuto negli ultimi 11 anni, sin da quando la prima versione del Mes è stata varata – e a negoziarla, in prima istanza, fu proprio Tremonti, all’epoca ministro dell’Economia del Cav. – e che in ogni caso resterebbe in vigore qualora non venisse ratificato il nuovo Trattato.
Quanto a “eventuali rischi indiretti”, il documento del Mef certifica che “non si rinvengono nell’Accordo modifiche tali da far presumere un peggioramento del rischio” legato all’entrata in vigore del nuovo Fondo salva stati. “Inoltre, non si ha notizia – si legge ancora – che un peggioramento del rischio del Mes sia stato evidenziato da altri soggetti quali le agenzie di rating, che hanno invero confermato la più alta valutazione attribuitagli anche dopo la firma degli accordi sulla riforma”. Anzi, si fa notare, “Moody’s nel giugno 2022 ha alzato il proprio rating sul Mes, portandolo al massimo (ad Aaa da Aa1), citando la riforma del Trattato fra i fattori che hanno determinato il miglioramento del rating. Inoltre, le maggiori agenzie di rating che stimano la rischiosità di un emittente (S&P, Fitch e appunto Moody’s), al momento conferiscono al Mes la tripla A”. Insomma, il Mes ha una reputazione eccellente sui mercati, e il nuovo trattato la rafforza ancor più: ben più granitica di quella dei Btp italiani, valutati con una tripla B.
Ma c’è di più. perché, oltre a scongiurare l’ipotesi di un aggravamento della situazione, il dossier del Mef, illustra i vantaggi innegabili che derivano dalla ratifica del Mes. “Relativamente agli effetti indiretti sulle grandezze di finanza pubblica derivanti dalla sola ratifica dell’Accordo, sulla base di riscontri avuti da analisti e operatori di mercato, è possibile che la riforma del Mes, nella misura in cui venga percepita come un segnale di rafforzamento della coesione europea, porti ad una migliore valutazione del merito di credito degli Stati membri aderenti, con un effetto più pronunciato per quelli a più elevato debito come l’Italia”. Dunque l’Europa avrebbe tutto da guadagnare, da una ratifica del Mes. E più di tutti, tra i paesi europei, ne gioverebbe l’Italia.
Eppure, per una di quelle insensatezze tipiche del melonismo, è proprio l’Italia l’unico tra venti paesi aderenti al Mes a non avere ratificato il nuovo trattato, impedendone così l’entrata in vigore. E qui si spiega allora anche l’insofferenza di Giorgetti, il quale ancora la settimana scorsa, in Lussemburgo, durante l’assemblea annuale del Mes, ha ribadito ai colleghi europei che la ratifica del trattato in Italia è complicata per le opposizioni politiche di alcuni partiti. Dunque non per motivi tecnici. Su quel fronte, come evidenzia anche il documento da lui licenziato, ci sarebbero solo vantaggi. Ed è anche per questo che dallo staff del ministro si fa notare che non è certo questo governo ad aver avviato le trattative sul Mes, ma è questo governo a dovere affrontare ora la situazione. Se Meloni sperava di continuare a giustificare i suoi tentennamenti esasperati in virtù di presunti rischi finanziari, o alla luce di una supposta convenienza nell’utilizzare il Mes come arma negoziale sul Patto di stabilità, ora non potrà più. Potrà invece, come sta facendo, chiedere ai suoi parlamentari di tirarla in lungo, fare ostruzionismo, inventarsi qualche stramberia procedurale e rinviare l’arrivo in Aula della proposta di legge, fissata per il 30 giugno. Oggi si ricomincia, in commissione Esteri. E ci sarà da ridere.