Meloni e la "strategia dell'opossum" sul Mes. La maggioranza diserta ma sbanda, tensioni a destra
Le forze di governo puntano a rinviare la discussione in Aula sulla ratifica del trattato. Ma l'attendismo crea tensioni. Foti replica al Mef: "Per un anno e mezzo, con Draghi, nessuno ha fatto nulla". E in FI la tregua armata già cigola. Ronzulli: "Chi arriva si metta in fila"
Mancare, non marcire. Enzo Amendola la chiama “strategia dell’opossum”. Inabissarsi per evitare di dover scegliere. I deputati di Lega, FI e FdI, alle due e mezza, prendono la via del ristorante. Lì al quarto piano di Montecitorio, tutto solo, Giulio Tremonti passeggia con fare sornione, se la ride. “Tutto per questo Mes?”, sussurra, come a farsi beffa, lui stesso, delle paranoie della sua maggioranza. Sta di fatto che la commissione Esteri, da lui presieduta, registra la diserzione in blocco delle forze di governo. Finezze del tatticismo, che forse varranno a rinviare la discussione dell’Aula sulla ratifica del trattato a luglio, magari oltre l’estate. “Solo che nell’attesa, nell’incertezza, le tensioni crescono. Per cui qui una linea tocca darsela”, allarga le braccia, sconsolato, Paolo Barelli.
L’ha chiesta anche ad Antonio Tajani, la linea: “Qui i nostri vogliono capire”, ha sollecitato il capogruppo di FI. Il ministro degli Esteri ha allargato le braccia: “Proverò a chiedere a Meloni”. Paolo Zangrillo, titolare della Pa, ha confermato: “Sì, un chiarimento speriamo di averlo, dopo il parere del Mef”. Tutto questo, alle dieci di mattina. Serviva una strategia, insomma. E in capo a un paio d’ore la si trova nel dileguarsi. Nella seduta della commissione Esteri, ad approvare l’adozione del testo base, presentato dal Pd, che chiede la ratifica del Mes, ci sono solo le opposizioni. E avrà pure un senso, certo, questa scelta della maggioranza: ma a vederla per quel che appare, cioè come l’ammissione di un disorientamento, non fa un grande effetto neppure ad alcuni esponenti di governo. Valentino Valentini, viceministro dello Sviluppo, per anni consigliere diplomatico del Cav., scuote la testa: “La storia di questi anni ci insegna che le responsabilità di governo impongono a tutti i partiti di dover fare i conti con la realpolitik”, dice. “Questione di tempo”. Ma quel tempo non è adesso. “Non lo è perché Meloni è impegnata in una campagna europea per strappare riforme migliorative al Patto di stabilità”, spiega il capogruppo di FdI, Tommaso Foti. E c’è poco da obiettare che negoziare dalla posizione di chi sta in difetto, come unico tra 20 paesi che si ostina a non ratificare il Mes, non pare una grande scelta. “Al contrario. Far vedere che sul Mes si tiene duro, che non si abbassa la testa quando gli altri alzano la voce, aiuta a darci credibilità nelle trattative”.
E insomma si capisce che per la ratifica si dovrà attendere. A quello, d’altronde, mira la “strategia dell’opossum”. Dopo l’approvazione del testo del Pd, ora servirà un giro di consultazioni nelle varie commissioni competenti. Poi, forse, si darà mandato al relatore. Per arrivare in Aula, il 30 giugno, con la maggioranza che chiederà di tornare in commissione per un’ulteriore istruttoria. Oppure, sarà la conferenza dei capigruppo della prossima settimana a ridefinire l’ordine dei lavori, anteponendo alla ratifica del trattato il dibattito sul ddl Lavoro. Così il Mes scivolerà a luglio, quindi bisognerà trovargli una collocazione nel calendario estivo, forse rinviarlo a settembre. Futurismo all’incontrario: se mi dileguo, seguitemi.
Che è in fondo una tattica confortante, sul breve periodo. A tutti, almeno, tranne che a Giancarlo Giorgetti. Che infatti la sua insofferenza per un attendismo che scarica sulle sue spalle l’obbligo di dover giustificare l’ostruzionismo italiano a Bruxelles, l’ha segnalata col parere tecnico firmato dal suo capo di gabinetto. Solo che così, la rogna che il ministro dell’Economia voleva scaricare su Palazzo Chigi è finita col travagliare il suo stesso partito. Matteo Salvini prova a conciliare l’inconciliabile, dice che “quel parere è solo tecnico, la volontà politica del governo è chiara”, dunque “al momento niente Mes”, e però “con Giorgetti c’è piena sintonia”. Ma chi poi, nei lavori d’Aula, questa linea deve attuarla, si sfoga sotto garanzia di anonimato: “Meno male che la gente non capisce nulla, quando si parla di Mes. Perché sennò ci riderebbero dietro”. Foti prova a dispensare serenità (“Ai colleghi del centrodestra in agitazione per il Mes consiglio di non lasciarsi prendere dall’emozione”), ma nel farlo manda pure, tra le righe, un messaggio a Giorgetti. Perché se è vero che il via libera tecnico del Mef sta lì a ribadire che la contrarietà al Mes è tutta e solo politica, “è anche vero che la volontà politica di ratificare il Mes non c’è stata neanche nell’anno e mezzo di govero Draghi”.
Perdere tempo per guadagnarne, quindi. Sperando che l’incertezza non alimenti le tensioni. In FI, soprattutto, dove lo scoramento per il lutto del Cav. si mischia a quello per il destino del partito. La riunione dei gruppi parlamentari azzurri ha sancito una tregua armata. Ma quanto sia fragile la consistenza di questo accordo s’è visto nello scambio di battute tra Licia Ronzulli e il collega Barelli. “Stiamo attenti a chi esce e poi ritorna: chi arriva si mette in fila per rispetto e con rispetto. Non dobbiamo avere paura di morire al punto da diventare un brodo di coltura”, ha detto la leader dei senatori, con riferimento ai protetti di Marta Fascina, come Alessandro Sorte e Stefano Benigni, promossi di recente ad alti gradi del partito, dopo averlo lasciato per tentare fortuna con Giovanni Toti. “Ma chi se ne è andato l’ha fatto perché nelle precedenti gestioni s’era sentito marginalizzato”, ha replicato Barelli. Non proprio le premesse di una pace granitica.