nuovi equilibri in politica
Cattolici in cerca d'autore senza più Berlusconi
L’Unto del Signore, così lo chiamavano. Ma ora che il Cav. non c’è più, quale casa troveranno i moderati e i reduci dell’ex Dc? A molti va bene l’opzione Meloni, altro che un nuovo partito cristiano
Ora che è uscito di scena passando dalla porta grande del duomo di Milano, benedetto da una magnifica omelia che lo ha riappacificato con una visione di umanesimo cristiano, in barba agli sparuti cattolici adulti che non avrebbero neppure incensato la salma; ora che ha ricevuto sulla scena del mondo un saluto da quasi monarca, in barba agli ultimi mohicani che ne vorrebbero dispersa l’eredità come fu per le ceneri del Re Sole. Ora che tutto è compiuto, Silvio Berlusconi è paradossalmente tornato a incarnare, attraverso la sua assenza, quel ruolo quasi religioso, quella sembianza di re taumaturgo che per lui predisse un teologo visionario, ma anche raffinato pensatore politico, come don Gianni Baget Bozzo: l’Unto del Signore. Per una parte del mondo cattolico che lo ha seguito, Berlusconi è stato più di un leader politico, è stato un simbolo provvidenziale capace di garantire la libertà del paese “che amava”.
Altri cattolici che pure lo votarono, almeno all’inizio, hanno sempre ritenuto che “Unto del Signore” fosse invece un’esagerazione, un’eresia: nessuno spazio per monarchi carismatici in un paese forgiato da cinquant’anni di democristianeria repubblicana. In ogni caso, per trent’anni il Cav. è stato il riferimento di un elettorato e di un ceto politico cattolico orfani di quello strano meccanismo sacerdotale che fu l’unità politica della Dc. Se non l’Unto del Signore, il Cavaliere fu insomma una sorta di “Katéchon”, come avrebbe detto un Cacciari d’antan: un provvidenziale baluardo religioso contro la sinistra e le sue ideologie. “Non prevalebunt”. Sull’altro fronte del bipolarismo nato con la Seconda Repubblica, per i cattolici di sinistra Berlusconi è stato al contrario una sorta di limite invalicabile morale e ideologico: mai un’alleanza con l’Uomo Nero. E in più una sorta di scomunica implicita – che nessuna gerarchia si è mai nemmeno sognata di pronunciare – per tutti i fedeli schierati dalla parte del plutocrate edonista e peccatore. A ben guardare, anche i cattolici progressisti hanno perduto un sicuro punto di riferimento negativo.
Ora tutto questo non c’è più, e gli orfani sono innanzitutto gli orfani dell’Unto del Signore. Il variegato, se non proprio variopinto (molto grigio tristanzuolo, in verità) cattolicesimo politico moderato. Basterà “l’opzione Giorgia” a tenere insieme il piccolo resto d’Israele, quasi fosse davvero la nuova Unta del Signore? Basterà la nuova pax religiosa, il cui massimo sacerdote è Alfredo Mantovano – cattolico di destra a tutto tondo, altro che morbide democristianerie – il potente sottosegretario alla Presidenza nonché l’uomo che tiene i rapporti Oltretevere? Un Vaticano dove, del resto, regna un Papa callejero ma che paradossalmente ha in simpatia la premier donna della destra: Bergoglio in fondo è un peronista moderato, altro che sinistra.
Eppure un po’ di correnti avverse stanno da tempo increspando le acque di quel piccolo mare chiuso che è il centrismo cattolico, per trent’anni tenuto calmo da Berlusconi. Camillo Ruini, il Cardinal Sottile e la testa politica più lucida in casa cattolica della Seconda Repubblica, aveva optato per una equidistanza formale tra i due poli e per una equivicinanza di fatto al Cavaliere (“intelligente e generoso, ha meriti storici per l’Italia”, è stato il suo ricordo). Quando si trattò di intervenire in materia etica contro le posizioni dei “cattolici adulti” di Prodi, tagliò corto: non se ne parla nemmeno. Tempi andati: è almeno dal 2009, quando il segretario di Stato Tarcisio Bertone voleva un gesto di penitenza del Cavaliere alla festa della Perdonata alla Basilica di Collemaggio, che anche le gerarchie hanno dismesso la piena sintonia con il centrodestra. I segnali di qualcosa che aspirerebbe a muoversi vengono da Avvenire. Due giorni dopo il funerale, il giovane editorialista del quotidiano della Cei, Marco Iasevoli, scriveva che “per i cattolici in politica cade un altro alibi paralizzante”. Berlusconi “è stato un alibi per molte culture politiche che, per via della sua presenza ingombrante, hanno rinunciato (almeno in parte) a produrre pensiero e alimentare la vita democratica del paese. Dietro il Cav. si sono rifugiati i liberali, i riformisti, i ‘moderati’. La sua presenza ha portato per anni ad una esclamazione rassegnata, ‘non ci sono spazi!’”. Anche un ex deputato ulivista, da sempre molto impegnato nel dibattito ecclesiale come Giorgio Merlo, ha scritto che “in questa cornice quasi si impone la necessità di ridare voce, rappresentanza e consistenza politica e organizzativa a un soggetto politico centrista. Indubbiamente plurale al suo interno ma accomunato da un progetto politico autenticamente riformista e di governo, destinato a incrinare la logica e la deriva degli opposti estremismi”.
Queste vaste praterie da dissodare non è sicuro che esistano, in verità.
Da più di dieci anni se ne parla. Nel 2011, quando l’Unto sembrava ormai archiviato e il governo tecnico di Monti sembrava schiudere nuove prospettive, a Todi si discusse apertamente di “un nuovo partito cattolico”. C’erano Acli, Cisl, Coldiretti, Compagnia delle Opere, Confartigianato, Confcooperative, Movimento cristiano lavoratori. Potenzialmente un bacino di voti e di influenza importante. Finì in nulla. Anni dopo anche l’ex presidente della Cei Gualtiero Bassetti, che avrebbe dovuto essere l’ispiratore, seppellì l’idea di “un altro partito cattolico”. Oggi, oltre i primi messaggi lanciati qua e là, non è un mistero il lavorio di tante aree, ad esempio l’ex mondo ciellino-formigoniano, il più organico a Forza Italia, dove a molti della vecchia guardia l’idea di un nuovo raggruppamento non sembra più utopia. Anche se Maurizio Lupi, davanti al duomo il giorno del funerale, sosteneva che si deve “rafforzare la proposta popolare e moderata” di Forza Italia, immaginando una nuova stagione in cui i cattolici possano tornare a pesare come all’inizio. Magari puntando sull’asse con Antonio Tajani. La settimana scorsa a Caorle, alla festa di Tempi, si è raccolta l’area ciellina più apertamente di destra e molto impegnata sui temi etici con cui Meloni ha costruito parte del suo consenso. Sarà interessante vedere, tra un paio di mesi, cosa emergerà dal crogiuolo del Meeting di Rimini, che potrebbe dopo tanti anni tornare a profumare di politica attiva.
Ma poi: ci sono davvero ancora i cattolici moderati? E quanto contano in termini di idee, e non solo di voti? Sono le riflessioni del professor Ernesto Galli della Loggia, liberale che ha sempre osservato come la mancanza di un vero pensiero politico cattolico sia negativa per il paese. Ma ogni possibile ragionamento per il futuro “dipende dal quadro politico generale”, spiega lo storico al Foglio. “Se Giorgia Meloni riuscisse a consolidare la sua forza attuale in un vero partito conservatore di tipo europeo, sarebbe una cosa buona per Meloni ma sarebbe anche più facile per i cattolici di provenienza moderata trovare lì una casa, un riferimento”. Non è già così? “Già ora, sui temi etici, pensiamo alla Gpa, i cattolici moderati hanno lì una sponda chiara”. Non c’è quindi grande necessità di nuove manovre centriste, i giochi in quest’area culturale-elettorale sembrano già fatti, secondo Galli della Loggia.
Del resto la fuoriuscita del pacchetto di voti “identitari” da Forza Italia era già certificata. Dopo un rapido passaggio verso il Salvini del periodo rosarista alle ultime elezioni, si è posizionato su Fratelli d’Italia. Anche senza contare i voti, basterebbe osservare la visibilità mediatica che la destra religiosa si è guadagnata, ad esempio l’attivismo di un network di associazioni (una novantina) come “Ditelo sui tetti”, che anima “iniziative pre-politiche per la tutela di una antropologia integrale”. Recentemente la Biblioteca del Senato ha ospitato un loro convegno sul tema di “un partito conservatore per il futuro”, il trait-d’union con Mantovano e il partito di Meloni è solido.
Che non ci sia molto spazio per nuove aggregazioni è opinione anche di un altro politologo liberale, Giovanni Orsina, che osserva con realismo: “Mi sembra che in questa fase Giorgia Meloni sia sempre più accogliente per il mondo cattolico moderato, se saprà mantenere questa linea sarà molto facile per i cattolici trovare una casa, una zona politica non provvisoria”. Del resto “sono Giorgia, sono cristiana”, viene da pensare. Orsina però preferisce cogliere un punto più originale nella strategia della leader della destra: “Penso soprattutto a come si è mossa su un tema sensibile per i cattolici come quello dell’immigrazione. Le posizioni del governo sono in sostanza moderate, anche sul fronte europeo, molto attente alle ragioni dell’accoglienza. Paradossalmente, forse piacciono meno alla destra e alla Lega”. In effetti, persino il Papa che come primo viaggio andò a Lampedusa non ha lanciato anatemi contro il governo. “Questo facilita un approdo in casa Meloni”, spiega Orsina. Del resto, al governo delle battaglie bioetiche più importanti c’è una cattolica agguerrita come Eugenia Roccella. Viene dalla pattuglia ruiniana degli anni delle battaglie “non negoziabili”, ma proprio lei, in una conversazione col Foglio, ha esplicitato il suo attuale pensiero: da cattolica, oggi sono di destra convintamente e spero che l’esperienza di Meloni vada avanti.
Dunque le correnti che increspano il piccolo mare dei centristi sembrano destinate a rimanere tempeste in un bicchiere d’acqua, mentre la corrente del Golfo (mainstream?) scorre verso l’Unta del Signore. C’è però da tenere conto che il cattolicesimo italiano è ampio, molto più della sua rappresentanza politica e anche più delle rumorose sigle che compaiono sulla stampa. Dalle Acli alle scuole cattoliche alla Cdo alle Caritas diocesane, pensare di risolvere tutto con qualche bandiera etica e qualche no ai bambini programmati è riduttivo.
C’è in realtà un altro arcipelago, quello che è sempre stato mare ostile per l’Unto del Signore, che oggi si ritrova a combattere in acque più agitate. Come osserva Galli della Loggia, in qualche modo il moderatismo una casa la può trovare, “anche se è ormai silente”. Chi attraversa un momento decisamente peggiore, spiega, sono i cattolici progressisti. “L’evoluzione del Pd sulla linea Schlein mette fuori gioco la posizione, la storia e il ruolo del cattolicesimo di sinistra che si era costruito nell’esperienza dell’Ulivo. Non credo che su questioni come la Gpa o sulle questioni di genere e lo sbilanciamento sui ‘diritti’ possano essere d’accordo. Sono loro ad avere un serio problema di ripensamento e di ricollocamento”. Forse hanno perso qualcosa di più di un Unto del Signore. Riflessione che anche Orsina condivide, “e va inserita in una complessiva crisi del cattolicesimo politico”, ci dice.
Una crisi che un politico di lunghissimo corso democristiano e post democristiano, e con una brillante capacità di analisi che non teme l’ironia e i paradossi, insomma Gianfranco Rotondi, estremizza: “Per dire Prima Repubblica devo citare almeno quattro leader, invece Berlusconi è stato da solo l’intera Seconda Repubblica, su questo non c’è altro da aggiungere. Il problema è capire davvero perché è stato così, e io mi vanto di averlo sempre detto”. Ci spieghi. “Bisogna capire la transizione alla Seconda Repubblica, per capire la Terza. Non c’è mai stata questione ‘dell’uscita dalla Democrazia cristiana’, in Italia c’è sempre e solo stata una questione comunista. Ed è così ancora”. Tesi ardita. “La Dc non vinse perché aveva una ‘cultura cattolica’, Maritain lo leggevamo solo noi… Vinse perché il popolo, il popolo sanfedista, non voleva il comunismo! Finita la Prima Repubblica, hai un bel dire che era finito anche il comunismo. Gli italiani sono rimasti anticomunisti. E Berlusconi, ancora, non vinse perché aveva una cultura liberale (‘la sua forza fu la sua mancanza di cultura’, disse Martinazzoli: nel senso che non aveva nessun pregiudizio, parlava con tutti), ma perché da imprenditore-capopopolo seppe conquistare tutto il voto popolare anticomunista”. Oggi quel mondo popolare, sempre anticomunista, e una parte dei cattolici hanno il punto di riferimento nel partito di Meloni”. Poi possiamo parlare, ammette Rotondi, di un’altra linea di frattura, quella tra “cattolici della morale e cattolici del sociale”. Non è marginale e non si ricomporrà, dice Orsina: al massimo può trovare un punto di equilibrio in Europa, attraverso il Ppe.
Poi molto dipenderà dall’esito del pontificato ormai in inevitabile fase discendente, aggiunge Galli della Loggia. Francesco aveva provato a dare una scossa alla chiesa italiana al Convegno ecclesiale del 2016 a Firenze, ma fu un nulla di fatto (“amnesia”) che lo ha irritato a lungo. Di recente ha mandato un messaggio al Ppe riunito a Roma, ricordando il pluralismo, la solidarietà e sussidiarietà. Niente di che, in verità. Ma è vero che oggi, per politici cattolici che vogliano un’alternativa a Meloni, l’unico punto di approdo, il ventre molle della attuale “wave” vatican-ecclesiale, è Sant’Egidio. Di Sant’Egidio è il cardinale Zuppi, attivissimo presidente della Cei e diplomatico del Papa in Ucraina, di Sant’Egidio sono le sponde di mediazione sui migranti, sulle emergenze sociali. Se qualcuno volesse cercare casa fuori dalla vecchia sinistra ulivista, dovrebbe bussare qui.
Quanto alla mito quarantennale della “ricomposizione dell’area cattolica”, Orsina taglia corto: “La Dc esisteva perché unendo posizioni diverse, aveva la maggioranza e ‘dava le carte’. Lo stesso, per la rappresentanza cattolica, è avvenuto con Berlusconi. Oggi le carte le dà Giorgia Meloni. E lei con intelligenza ha aperto molto soprattutto ai cattolici. Il partito dei cattolici oggi non darebbe le carte, dunque non serve a nessuno”. Così, nel frattempo, c’è chi prova a mescolare il mazzo sperando che qualcuno prima o poi lo tagli bene, e chi sogna di pescare la briscola. Che l’Unto del Signore, da lassù, li benedica.