Quelle riunioni impensabili di Calenda coi grillini e i fedelissimi di Fratoianni sul salario minimo
Allo stesso tavolo, il leader di Azione con l'ex ministra Nunzia Catalfo, i delegati di verdi e Sinistra, i bersaniani Guerra e Scotto. Sul lavoro si prova a costruire il centrosinistra che verrà, ma con molte incognite. La proposta dei 9 euro lordi all'ora e i dubbi sui dettagli. Obiettivo: trovare un'intesa per luglio
La proposta, di per sé, varrà più come una testimonianza di una volontà. E dunque più dei dettagli del disegno di legge sul salario minimo che si sta definendo, il tutto vale come fatto politico, e forse più che politico, umano. Perché martedì scorso, quando la riunione è iniziata al secondo piano di Montecitorio, è venuta giù una barriera. Carlo Calenda ha deciso di parlare con Arturo Scotto e Nunzia Catalfo. E solo chi non ricorda la nettezza dei giudizi che il leader di Azione ha espresso negli anni nei riguardi di – e di solito contro – “i compagnucci de sinistra” e “i mentecatti grillini” può non comprendere la portata dell’evento. Lì, a quel tavolo, la delegazione rappresentava invece “il centrosinistra che dovrà essere”, come dice Elly Schlein, che forse è quello che pure per Enrico Letta “sarebbe dovuto essere”, prima che tutto precipitasse in un gorgo di incomprensioni e narcisismi.
A parlare di salario minimo c’era infatti, oltre al leader di Azione, la coppia di bersaniani oggi a tutti gli effetti nei ranghi del Pd: Maria Cecilia Guerra, responsabile Lavoro del Nazareno, e Arturo Scotto, ex coordinatore di Articolo 1 e attuale capogruppo in commissione Lavoro alla Camera. Con loro, ed è un’altra notizia, i responsabili dell’Alleanza Verdi e Sinistra: Francesco Mari e Marco Grimaldi. E, in rappresentanza del M5s, Catalfo e Valentina Barzotti. La foto di Campobasso sotto forma di comitato parlamentare: da Fratoianni a Calenda, passando per Conte, col Pd di Schlein come fluidificatore. E certo, tocca sperare che l’esito della proposta di legge sia migliore della proposta elettorale, che in Molise non è che abbia proprio brillato, anzi. E però, per quanto fragile, la prospettiva pare obbligata: ed è per questo che tutti i protagonisti della trattativa hanno ricevuto il mandato del silenzio assoluto dai rispettivi leader.
Ma la bozza esiste già. E tra la fine di questa settimana e l’inizio della prossima verrà depositata alla Camera. L’obiettivo è infatti di arrivare pronti per l’inizio di luglio, quando il dibattito avviato in commissione intorno alla proposta di legge a prima firma Andrea Orlando potrebbe approdare in Aula, sia pur tra varie incognite, per la discussione generale. L’architettura del salario minimo è frutto di un compromesso tra le varie anime del centrosinistra. Ci sarà un’indicazione minima della retribuzione, fissata a 9 euro lordi all’ora, ma si demanderà a una commissione di esperti – guidata dal ministero del Lavoro e composta da rappresentanti del Cnel, dell’Ispettorato nazionale e dell’Inps – il compito di determinare “il complessivo trattamento economico”. Un’iniziativa che sarebbe rivolta, secondo le stime, a circa 3,5 milioni di lavoratori, cioè a quelli non tutelati dai contratti collettivi nazionali.
E a qualcuno sembrerà fatale che proprio sul salario minimo, dunque, si proveranno a gettare le basi di un centrosinistra ancora tutto da costruire. Fu quella infatti una delle proposte che alimentarono la narrativa progressista che giustificò la scelta di Nicola Zingaretti di benedire il Conte II, dopo aver detto “not in my name”. Ed è su quel terreno che Pd e M5s si sono rincorsi per anni, in una gara a chi fissava il prezzo più alto più che quello giusto, e in un’ansia da prestazione assai vana, che non a caso s’è risolta in nulla, finora. Stavolta la novità sta nel coinvolgimento di Calenda, che s’è convinto della bontà della proposta. Tanto più dopo il divorzio con Matteo Renzi, il quale troverà forse conforto nella sua teoria secondo cui alla base della scelta dell’ex ministro dello Sviluppo di rompere unilateralmente l’alleanza del Terzo polo ci sia un disegno condiviso da Calenda stesso con Schlein, che insomma solo dopo aver rinnegato l’intesa col fiorentino il capo di Azione potesse ambire ad avere diritto di cittadinanza nel futuribile Campo largo. Chissà. Di certo c’è che anche per la segretaria del Pd, la mossa sul salario minimo potrà avere ripercussioni interne. Se non altro perché qualcuno noterà che il partito che ha eletto in Parlamento Susanna Camusso e Anna Maria Furlan non assegna alle ex leader di Cgil e Cisl il compito di ideare un intervento che del resto, e per varie ragioni, i sindacati più importanti hanno spesso osteggiato.