Le ali del cambiamento
Fratelli di Draghi o d'Italia? Dalle nomine ai migranti, i bagni di realtà di Meloni sono uno spasso
Vedere i politici al governo disposti a cambiare idea, traiettoria e classe dirigente pur di non perdere la faccia è un segno di maturità. Buone notizie per il futuro
Il discorso consegnato ieri alle Camere da Giorgia Meloni, in vista della riunione del Consiglio europeo del 29 e 30 giugno, verrà valorizzato sui giornali di oggi per le parole ambigue, contraddittorie e sconclusionate utilizzate dal capo del governo sul tema del Mes. La questione esiste, i rinvii dell’esecutivo sul trattato europeo sono diventati una barzelletta. Ma l’impressione è che la presidente del Consiglio stia cercando un modo per prendere ancora un po’ di tempo prima di arrendersi all’ennesimo e inevitabile bagno di realtà, trovando cioè un qualche arzigogolo retorico che permetta alla maggioranza di fare ancora una volta il contrario di quanto promesso in passato per approvare finalmente il trattato. Fra i numerosi bagni di realtà a cui è stata costretta in questi mesi Giorgia Meloni ieri se n’è aggiunto un altro importante che riguarda un terreno cruciale della propaganda sovranista: l’immigrazione.
L’Europa, come ricorda oggi David Carretta, su questo dossier sta prendendo la forma di una fortezza, ed è significativo come i grandi del continente abbiano purtroppo rinunciato a trovare un modo per rafforzare le attività di ricerca e soccorso in mare. Ma allo stesso tempo, ascoltare la postura assunta da Meloni sul tema dell’immigrazione è interessante perché mostra una verità sorprendente che corrisponde a un altro bagno di realtà. Non si può dire che Meloni, su questo tema, sia diventata anti populista. Ma si può dire che Meloni, su questo fronte, ha capito che la difesa dell’interesse nazionale non è compatibile con la difesa dell’interesse nazionalista. E così capita, come è successo ieri, di sentire una Meloni dire poco lepenianamente che “l’immigrazione è una sfida europea”, quando era la stessa Meloni fino a qualche mese fa a sostenere che doveva essere compito delle nazioni sovrane gestire l’immigrazione, essendo l’immigrazione solo “da fermare e non da governare”. Capita di sentire una Meloni dire poco orbanianamente che occorre “superare le regole di Dublino, regole che, ormai, sono considerate da tutti superate”, quando era la stessa Meloni fino a qualche mese fa a sostenere che riformare il trattato di Dublino fosse inutile, perché l’immigrazione va fermata in partenza non governata all’arrivo. E capita, infine, anche di sentire Meloni chiedere, all’Europa, di fare di più per prevedere “un meccanismo di solidarietà permanente e vincolante”, sul tema della ricollocazione dei migranti, sapendo perfettamente che i paesi maggiormente ostili a questo meccanismo, in Europa, sono i paesi governati da forze politiche tradizionalmente vicine a quelle che governano in Italia (citofonare Polonia, citofonare Ungheria). Nella traiettoria di governo meloniana, i bagni di realtà sono uno spasso ormai all’ordine del giorno (anche se ovviamente tra il dire e il fare c’è di mezzo il governare e anche se sull’immigrazione, finora, le battaglie internazionali di Meloni non stanno portando i frutti sperati: il Piano Mattei non esiste, l’accordo con la Tunisia non esiste, l’accordo europeo per la ricollocazione non esiste). Ma tra un bagno e un altro, in attesa di vedere Meloni immergersi nella vasca del Mes, ci sono anche altri significativi bagni di realtà osservati negli ultimi giorni.
Bagni di realtà che sono quelli registrati su un altro terreno altrettanto importante che riguarda un’evoluzione positiva messa in campo dalla premier: le nomine che contano. Si è discusso a lungo sulla volontà da parte della maggioranza di occupare in modo carsico il potere. Ma se si vanno a mettere insieme alcune tra le più importanti nomine portate a casa dal governo, negli ultimi giorni e negli ultimi mesi, si avrà la sensazione che nei ruoli che contano la maggioranza di centrodestra, per non perdere la faccia, ha cercato di attingere a una classe dirigente estranea alla sua storia. Per Bankitalia, Meloni ha scelto Fabio Panetta, un Draghi Boy. Come commissario per l’alluvione, Meloni ha scelto Francesco Paolo Figliuolo, altro Draghi Boy. Come amministratore delegato di Leonardo, Meloni ha scelto Roberto Cingolani, altro Draghi Boy. Come capo del Demanio, Meloni ha scelto Alessandra dal Verme, già nominata in quel ruolo da Draghi. Come presidente della Bei, Meloni ha scelto di puntare sull’ex ministro dell’Economia di Draghi, ovvero Daniele Franco. Come direttore dell’Agenzia dell’entrate, Meloni ha confermato Ernesto Ruffini. E lo stesso ha fatto con l’ad di Poste (Matteo Del Fante), con l’ad di Eni (Claudio Descalzi) e con il numero uno della Ragioneria di stato (Biagio Mazzotta). I bagni di realtà di Meloni esistono, sono numerosi e sono insieme uno spasso e un conforto. Uno spasso perché vedere i populisti costretti a rifornirsi dagli arsenali degli avversari è uno spettacolo puro. Un conforto perché vedere politici disposti a cambiare idea, traiettoria e classe dirigente pur di non perdere la faccia è un segno di maturità. Le sbandate del governo Meloni sono frequenti, numerose, spesso sconfortanti. Ma i bagni di realtà offrono ragioni per non essere pessimisti. E in attesa dell’immersione nel Mes e di qualche buona notizia sul Pnrr, avere al governo un partito che ogni tanto cerca di assomigliare più ai Fratelli di Draghi che ai Fratelli d’Italia non è una cattiva notizia per il futuro dell’Italia.