Da Roma a Milano
I tassisti e i Don Abbondio. Gualtieri e Fontana hanno un problema con i taxi
Mentre il sindaco della Capitale non trova neanche 150 licenze, il governatore della Lombardia prende tempo con Sala che gliene chiede mille. I gemelli della tremarella
Tornano con l’estate le grandi migrazioni turistiche, e riportano a galla la pietà e il furore, le lancinanti tristezze, i disgusti, le ansie metafisiche legate a tutti i fenomeni di massa. Assieme, ovviamente, alla sparizione dei tassì da Milano e da Roma. Code di residenti e pellegrini, bambini in lacrime, vecchie con la palpitazione, giovani in ciabatte col sudore alle tempie e gli occhi arrossati attendono di fronte alle stazioni di Termini e alla Centrale di Milano. Tassì? Non ce ne sono. Per strada, la conquista di una di queste automobili bianche dà luogo a sbracciamenti selvaggi, soprusi, abiette suppliche, eroismi da medaglia al valore. Sicché, a Milano, il sindaco Sala ha prima proposto la doppia guida, cioè ha pensato di consentire di far guidare i tassì anche ai parenti dei tassisti, per avere più macchine disponibili. Ma preso atto che alla proposta hanno aderito poche decine di automobili, martedì ha chiesto l’emissione di mille nuove licenze. Mille nuove automobili. Mille nuovi tassì. A Roma, città in cui non funziona nemmeno la metropolitana (e non faremo l’elenco dei bus e dei tram), il sindaco Roberto Gualtieri, un placido signore attrezzato all’azione all’incirca come lo sarebbe uno zulù medio per la psichiatria, ha deciso anche lui per la doppia guida. Copiando da Sala. Ma l’ha copiato con un certo ritardo, per così dire. Quasi un mese dopo. Cioè proprio quando Sala ha già capito che la cosa non funziona. E infatti la cosa, appunto, non funziona a Milano, e ovviamente non funziona nemmeno a Roma. Ragione per la quale il sindaco della capitale, uno che da più di un anno deve ancora redistribuire 150 licenze di tassisti deceduti o sospesi, ci fa sempre venire in mente Napoleone: di quel Gualtieri il fulmine tenea dietro il baleno. Ma non creda, il lettore, che a Milano le cose vadano meglio. Se Roma ha il vispo e coraggioso Gualtieri, Milano ha l’arzillo e impavido Attilio Fontana, presidente della regione. E’ lui che deve autorizzare le mille licenze richieste dal sindaco Sala. E alla richiesta, badate bene, ha risposto così: “Lasciatemela vedere questa richiesta. Poi ne parlerò con il sindaco. Non so se il numero è equo. Devo fare anche io un esame degli elementi a disposizione”. Uno di questi elementi, sui quali immaginiamo egli intenda indagare a lungo, glielo offriamo subito noi: a Milano ci sono 3,60 tassì ogni 1.000 abitanti, mentre a Barcellona ci sono 6,49 tassì ogni 1.000 abitanti. Insomma, di fronte alla questione tassì, il lombardo Fontana e il romano Gualtieri se ne stanno come gli abitanti di quei villaggi messicani nelle ore di siesta. E c’è da capirli. Avete presente i tassisti? Neppure Mario Draghi, l’uomo descritto come espressione dei poteri forti globali, della Nato, del Fmi e della Banca mondiale, è riuscito a fare una minima riforma dei tassì. Quelli già nel 2006, nel 2012 e nel 2017 avevano assediato Palazzo Chigi per molto meno. Dunque Fontana e Gualtieri, coi loro show di cautele, delicatezze, tossettine, mani avanti e piedi di piombo, vanno capiti. D’altra parte l’uno non voleva nemmeno farlo il presidente di regione mentre l’altro avrebbe preferito non essere candidato sindaco. E ora più che alla figura dantesca degli ignavi, questi due poveri amministratori ci rimandano allo spettro nazionalpopolare di don Abbondio. Al ben noto fenomeno della tremarella tanto caro a Manzoni.