L'editoriale dell'elefantino
Quanto è dannosa una opposizione che confonde polarizzazione e bipolarismo
C’è una differenza tra uno scontro fondato sul consenso democratico e la delegittimazione ideologica radicale. A sentire certi toni della stampa, sembra che non siamo ancora attrezzati per costruire un solido meccanismo di alternanza
In Germania per la prima volta è stato eletto, nonostante il cordone sanitario che circonda quel partito con forti connotazioni di destra anti istituzionale, un sindaco di Alternative für Deutschland, in Turingia, e l’AfD è accreditata nei sondaggi del 20 per cento, sopra i risultati della Spd. In Spagna Vox, scissione di destra estrema e populista dei popolari, ha conquistato la presidenza della regione di Valencia, prefigurando una possibile alleanza di governo con la destra istituzionale e conservatrice dopo le elezioni del prossimo 23 luglio. In Francia l’editore dominante, aggressivo, Vincent Bolloré, ha imposto (tramite il vassallo Arnaud Lagardère) un giornalista reazionario alla testa del Journal du Dimanche, una tribuna settimanale influente da sempre posizionata in zona liberale e centrista, ora pronta per la politica e la cultura civile di Marine Le Pen, in un paese polarizzato dall’odio per il presidente dei ricchi e dal fenomenale contrasto sulle pensioni, ora rinnovato in forme diverse ma anche più cruente con il nuovo capitolo della repressione poliziesca e della rivolta delle banlieue; e Bolloré è sempre più editore dominante con propaggini estremiste in radio e televisione (CNews, che tenta di essere una Fox francese, appaltò il grosso delle sue opinioni a Éric Zemmour prima della sua disfatta alle presidenziali e alle politiche dell’anno scorso).
Queste notizie dicono che la polarizzazione, cioè una divisione radicale, senza reciproco riconoscimento di valori, come nell’America di Trump e Biden o nel Brasile di Bolsonaro e Lula, non è più un oggetto estraneo in Europa occidentale. Qui in Italia siamo stati laboratorio di tutto questo con la feroce, esistenziale, divisione su Berlusconi, per un paio di decenni e oltre, integrata dall’invadenza istituzionale e politica della magistratura dopo la fine del vecchio sistema dei partiti, per non parlare dell’avventura populista e demagogica di Grillo e del suo partito del vaffa. E’ stato il tempo lungo della famosa delegittimazione. L’interesse scettico e razionale che si può provare per l’esperimento del governo di destra di Giorgia Meloni deriva dalla differenza di fondo tra polarizzazione e bipolarismo. La prima è un pozzo senza fondo di rancore e di estraneità reciproca nel conflitto, urlato e personalizzato e ideologizzato all’estremo, qualcosa che non era affatto estraneo alla galoppata identitaria e elettorale del partito di Meloni e dei suoi alleati; il secondo è un meccanismo di alternanza regolato, con un ragionevole temperamento istituzionale delle tensioni e dei contrasti, e una comune base civile anche e soprattutto quando si fissano distanze strategiche e di valore fra i soggetti in opposizione, che sarebbe a sorpresa la caratteristica evolutiva della Meloni di governo. Esempio: nel Regno Unito puoi elevare e abbassare i premier e le loro maggioranze, fino a procedure di decapitazione come nei casi recenti di Liz Truss e di Boris Johnson, senza intaccare un leale rispetto della tradizione bipolare legata alle funzioni rispettive dei Tories e dei Laburisti, passando perfino l’esame durissimo della divisione sulla Brexit e mantenendo un elemento di condivisione nel rispetto verso authority neutrali.
Certi segnali, dalla politica estera e di sicurezza alle nomine principali effettuate dal governo, dicono che da noi la polarizzazione tende forse, nonostante toni e stile che risentono fortemente del passato e una insufficienza di cultura istituzionale bipartisan, a evolvere in bipolarismo politico. Il problema è che tutto si tiene. Un’opposizione radical alla Ocasio-Cortez, tutta slogan e diritti, pride e delegittimazione del nemico ricco da tassare e vessare, o nel nostro caso del tenore parafascista e antidemocratico attribuito alla parte avversa, renderebbe impervio un corso bipolaristico tra conservatori e riformisti, un impegno a fare della politica, che certo è uno scontro di potere incentrato sul consenso democratico, dunque non un pranzo di gala, anche un vaglio ragionato dei principali dossier di interesse nazionale. A sentire certi toni della stampa di destra o di Repubblica e della Stampa sembra di capire che il sistema mediatico non è propriamente attrezzato per costruire un terreno che non sia quello della delegittimazione ideologica radicale. Con l’aria che tira tornare a distinguere tra polarizzazione e bipolarismo, non come profili politologici ma riguardo la sostanza della questione, sarebbe fortemente consigliabile per tutti.