Meloni rinvia il Mes a novembre, quando lo scenario europeo per lei sarà però peggiore

Valerio Valentini

La corsa contro il tempo sul Patto di stabilità. Le contorsioni sul Recovery con Bruxelles. E la concorrenza con Salvini che dopo l'estate sarà ancora più aspra, in vista delle europee. La premier imbosca la sua maggioranza, ma rischia di complicarsi la vita

Mentre la raffinatissima strategia dell’“imboscamento patriottico”, come la chiama un autoironico meloniano, prendeva forma, giovedì pomeriggio, Stefano Candiani, salviniano di rango, scuoteva il capo: “Tanto il finale è già scritto. Il Mes lo si approverà e nessuno se ne accorgerà. Tre giorni di polemica, e basta”. C’era perfino chi suggeriva che, se abiura dovrà essere, come sarà, tanto vale farla ora, col sole che incoccia, gli italiani che già pensano all’ombrellone, e chiuderla lì. E invece, niente. Quattro mesi di sospensiva. Se ne riparla a novembre. Questa è la trovata partorita dalla destra. Che, nell’ansia del rinvio, non s’è forse accorta che in verità la scelta rischia di complicare la situazione su almeno tre fronti: il Patto di stabilità, il Pnrr, e le elezioni europee.

Meloni è infatti convinta di utilizzarla a proprio vantaggio, la tattica del ricatto incrociato: fare ostruzionismo sul Mes per strappare condizioni migliori sulle nuove regole fiscali. Ma tra i diplomatici italiani di stanza a Bruxelles c’è chi fa notare che quello sul Patto di stabilità è un negoziato che all’Italia converrebbe chiudere in tempi rapidi. Anche perché, se mai si dovesse davvero arrivare allo scontro frontale coi rigoristi del nord, Germania e Olanda potrebbero volgere a loro vantaggio la tattica dilatoria: se un accordo non si trovasse, entro il 2023, da gennaio tornerebbero in vigore i vecchi vincoli di bilancio, quella del pre Covid, visto che, come ha spiegato il commissario Valdis Dombrovskis, in una recente riunione, “delle regole dovremmo comunque darcele e quelle sarebbero le sole esistenti”. E certo sarebbe un guaio, quello, per Giancarlo Giorgetti e la sua legge di Bilancio.

Del resto non si può escludere che altri paesi ricorrano allo stesso ostruzionismo che Meloni, da sola contro diciannove stati membri, sta utilizzando sul Mes. E infatti non lo esclude neppure la maggioranza sovranista, che nel redigere la sospensiva approvata ieri alla Camera – quella con cui congela il dibattito sul Fondo salva stati per quattro mesi – mette in guardia sul fatto che il backstop bancario che verrebbe introdotto dalla ratifica del Mes “viene percepito come un grande progresso ma rimane esposto ai veti dei Parlamento nazionali”. Dunque la maggioranza, nel rivendicare la bontà del proprio ostruzionismo sul Mes, denuncia l’eventualità che altri Parlamenti  pongano in futuro veti su quella parte del Mes che a Roma sta più a cuore.

Dettagli, si dirà.  Perché, che Meloni scelga di non ratificare, è un’opzione che nessuno del resto sembra prendere davvero in considerazione. E così l’azzurro Giorgio Mulè, a sentirsi chiedere a che punto è la notte, se la ride sornione: “L’alba del nuovo Mes è rimandata, di quattro Mes”. Ma quell’alba dovrà essere Meloni ad annunciarla, “perché è lei che ha la responsabilità del governo”, spiegano dalle parti di Matteo Salvini. E però anche in questo senso, se la concorrenza a destra della Lega, come pare, uno degli elementi che induce Meloni a tentennare sulla ratifica del Mes, allora collocare quella decisione a ridosso della campagna elettorale per le europee, e dove dunque più aspra si farà la competizione tra alleati, pare quantomeno illogico.
E poi, ovviamente, c’è il Pnrr. La scelta del governo di rifiutare il pagamento lievemente decurtato della terza rata del Recovery – rifiuto comunicato da Raffaele Fitto agli uffici della Commissione nella prima settimana di giugno – è arrivata a vivacizzare il dibattito sul Mes a Montecitorio, ieri mattina. E le dem Lia Quartapelle e Chiara Braga hanno subito chiesto al presidente Lorenzo Fontana di sollecitare il governo a fornire un chiarimento alla Camera.

Ma al netto della dialettica parlamentare, il fatto dimostra il nervosismo con cui l’esecutivo affronta il dossier del Recovery. La proposta di Bruxelles – incassare cioè più di 18 dei 19 miliardi previsti dalla rata di dicembre del Pnrr, e nel frattempo proseguire con le verifiche sugli obiettivi più controversi – era l’offerta di chi voleva indicare una soluzione. E’ stata rigettata perché a Palazzo Chigi temevano che il tutto sarebbe stato utilizzato dalle opposizioni come arma politica. E però, se questo è il livello dell’affanno, “colpisce come Meloni si ostini a non considerare –  spiega il dem Enzo Amendola – che, nei rapporti con la Commissione, tout se tient”, e dunque indispettire i partner europei con l’ennesimo rinvio del Mes potrà non complicarla, ma di certo non faciliterà la trattativa sul Pnrr. “Ché i due dossier – spiegano a Bruxelles – sono su scrivanie diverse, ma le scrivanie stanno in stanze contigue”.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.