Il caso
L'Europa, croce ed Eldorado per il ricollocamento dei ministri del governo Meloni
Da Tajani fino a Fitto e Giorgetti: se le istituzioni europee vengono vissute come una bombola di ossigeno (o un buen retiro per evadere dall'esecutivo)
L’Europa delle pur divergenti linee politiche sull’immigrazione (e non solo) come Eldorado da evocare nei propri pensieri sommessamente, senza confessarlo agli altri e quasi neanche a se stessi; l’Europa che, a destra, diventa come l’Africa a sinistra e ai tempi dell’ex sindaco di Roma dem Walter Veltroni, luogo mitizzato per un post-qualcosa: post impegno, post lotta, post ribalta, post tensioni interne a un partito o a una maggioranza. Fatto sta che l’Europa, come ideale e reale catalizzatore di sogni d’opposta radice, sta diventando insospettabilmente tentazione segreta e ricorrente anche dalle parti del governo Meloni.
E, in effetti, più di un ministro potrebbe aspirare, per il futuro, a un posto in quel di Bruxelles o di Strasburgo, le città in cui le locali divergenze si attutiscono in nome della nobile istituzione. Ma anche la premier potrebbe guardare alle medesime location, nell’anno che manca alle Europee, come scappatoia per un promoveatur ut amoveatur (su scheda elettorale, in caso di eccessive tensioni) per qualche titolare di ministero non proprio in linea con toni e spartito generali. Fatto sta che, in giorni di dibattito sulle rate ex Pnrr e di dichiarazioni meloniane sui soldi “che vanno messi a terra costi quel che costi”, l’Europa, intesa come futuribile collocazione prestigiosa (presidenza della Commissione?) potrebbe apparire miraggio a chi, come il presidente di Forza Italia e ministro degli Esteri Antonio Tajani, ha tutti i giorni a che fare con grattacapi interni (sulla sorte del partito che fu del Cav.) ed esterni (in riferimento al collega e ministro delle Infrastrutture leghista Matteo Salvini, cui Tajani ha fatto sapere di non voler dare il benestare a nessun eventuale “accordo con Adf e il partito della signora Le Pen”).
E che dire del ministro per gli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza Raffaele Fitto, l’uomo che, tra Pnrr e Mes, si è trovato al centro di una virtuale graticola con eventuale lento avvitamento di nodo scorsoio al collo del possibile capro espiatorio di ritardi e malintesi con la Ue? Il nodo si è reso peraltro plasticamente seppure ironicamente percepibile venerdì scorso, in Senato, quando Giorgia Meloni, riordinando gli appunti per la sua replica, ha apostrofato l’ex presidente della Puglia (che le suggeriva il nome di un parlamentare d’opposizione) al grido di “zitto, che me mandi fuori strada”. Ed ecco che l’Europa, dove il ministro Fitto è stato eurodeputato fino all’altroieri, si staglia all’orizzonte come bombola d’ossigeno in caso di peggioramento delle condizioni dei rapporti Italia-Ue su scadenze e progetti. E sempre lassù, fino al Belgio, potrebbe magari fare un salto, in tempi non così remoti, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, l’uomo che, proprio sul Mes, una decina di giorni fa ha fatto capire di prediligere la ratifica, anche al prezzo di qualche scossone con il vertice di Palazzo Chigi – ed è storia d’oggi che, sul fondo salva-stati, sia infine prevalsa la linea morbida dello stop per un massimo di quattro mesi.
Resta sospeso, il sogno-via d’uscita europeo, anche a parti rovesciate, se è vero che, come narrano nei Palazzi, Meloni, che intanto ha visto il ministro Fitto incontrare il commissario europeo ed ex premier Paolo Gentiloni su rate e modifiche al Pnrr, potrebbe in un futuro non remotissimo favorire ufficiosamente lo spontaneo movimento (con successivo avvicendamento) di alcuni nomi spendibili per l’imminente competizione internazionale.