Meloni pronta a fare l'equilibrista a Varsavia, e Salvini la pungola: "Accetterà veti a danno dei suoi alleati?"

Valerio Valentini

La premier, tentata dal sostegno a Von der Leyen per un secondo mandato, medita sul futuro incerto di Ecr. Intanto vede Morawiecki. Il leghista si prepara alla guerriglia di logoramento per le europee: "Non vedo perché battermi contro chi distribuisce patenti di presunta presentabilità a destra dovrebbe essere una mossa contro la premier"

Ha iniziato. E siccome l’effetto che fa gli è piaciuto,  continuerà. “Restiamo solo fedeli alle nostre promesse: nostre, come centrodestra”, dice il suo capogruppo al Senato, Massimiliano Romeo. Ecco, quella di Matteo Salvini non è stata la trovata di una domenica. La sua guerriglia di logoramento nei confronti di Giorgia Meloni sarà il basso continuo di tutta la lunga campagna elettorale verso le europee. E lo conferma, il capo della Lega, proprio nella misura in cui dissimula: “Con Giorgia c’è piena sintonia: a breve affronteremo insieme il tema delle alleanze europee. Non vedo perché battermi contro chi distribuisce patenti di presunta presentabilità a destra dovrebbe essere una mossa contro la premier, visto che la logica dei veti farebbe, come prime vittime, proprio alcuni suoi alleati di Ecr”.  Il tutto mentre Meloni prepara le valigie per Varsavia. 

Viaggio istituzionale, dicono a Palazzo Chigi: sono due capi di governo che s’incontrano. Solo che quei due capi di governo, Meloni e Mateusz Morawiecki, sono anche alleati storici. E dei due, una, la capa di FdI, pur tra mille contraddizioni – o forse proprio in virtù di quelle, delle sue abiure, del suo meticoloso smentire la propaganda agitata per anni contro l’Europa in questi mesi di governo – s’è guadagnata una qualche benevolenza a Bruxelles; l’altro, il capo del PiS, resta qualcosa di meno di un appestato per i colleghi del Consiglio europeo costretti ogni volta a subire i suoi veti sovranisti, e soprattutto rappresenta “il nostro principale nemico politico” (cit. Manfred Weber) proprio per quel Ppe con cui Meloni vuole invece entrare in affari nei prossimi mesi. Bel rompicapo, insomma, per Donna Giorgia. E certo sarebbe ingenuo aspettarsi che la soluzione a questo enigma lei lo sciogliesse proprio oggi: quando, dopo essere stata ricevuta dall’amico Mateusz al Palazzo della Cancelleria di Varsavia, prenderà la parola al convegno sul “futuro dell’Europa” di Ecr, il partito dei Conservatori di cui lei è presidente, e di cui forse dovrà essere, a tempo debito, curatrice fallimentare.

Perché nel gioco grande europeo, dal 2024, Meloni vuole contare davvero. “Prendere voti per non incidere non è fare politica”, dice lei. Ed è per questo che, nei carotaggi preliminari effettuati nelle scorse settimane, alcuni leader europei, e tra questi anche Olaf Scholz, si sono convinti che sì, un’ipotesi di riconferma di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione troverebbe l’assenso anche di Meloni. Significherebbe, beninteso, liquidare tutte quelle velleitarie promesse di “non scendere a patti con Macron e i Socialisti” e “costruire un accordo esclusivo tra Popolari e Conservatori”, contrarie all’aritmetica, prima ancora che alla politica.

E sì, sarà pure che “Giorgia è in grado di tenere questo doppio registro”, come spiega un senatore meloniano. Ma è proprio sulla precarietà di questo equilibrio che scommette Salvini, pronto com’è ad additare tutte le incoerenze che invece Meloni, per poterle sostenere di qui a giugno 2024, vorrebbe tenere nascoste. E dunque se davvero la capa di FdI ha intenzione di accettare, come pare inevitabile, un’intesa con socialisti e liberali, il leader della Lega denuncerà il tradimento. E in fondo è a preparare questo scontro che serve il posizionamento di questi giorni: le smancerie con Marine Le Pen, il rinnovare lealtà agli estremisti tedeschi di AfD, l’affaccendarsi per organizzare un grande evento – ci sta lavorando l’europarlamentare Marco Zanni – con tutti i partiti di Id, e magari invitarvi pure Viktor Orbán, e forse, questa è l’idea, anche i polacchi del PiS: due dita negli occhi a Meloni. Ché d’altronde tutto questo gioco al massacro su chi è più coerente è solo a scopo elettorale: perché “con chi bisognerà parlare e con chi no, lo si capirà a bocce ferme, dopo le europee”, spiega Raffaele Fitto, grande sherpa meloniano a Bruxelles. E però Salvini ha sentito l’odore del sangue: ha notato che, non appena lui è tornato a suonare lo spartito sovranista, Meloni s’è affrettata a coprirsi a destra, e di qui gli attacchi alla Bce, a Draghi, a Gentiloni. E dunque, se il gioco funziona, perché non insistere? Oggi, per dire, a intervenire in Aula alla Camera contro il Mes, per la Lega, sarà Alberto Bagnai. Alè.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.