le alleanze europee
"Dobbiamo egemonizzare Ecr e parlare con tutti". Perché a Meloni gli alleati europei iniziano a essere d'impaccio
"Temiamo la polarizzazione tra il PiS e i Popolari", ammettono Fidanza e Procaccini, sapendo che la premier resterebbe schiacciata tra gli amici da difendere e quelli da guadagnare
La premier rassicura Morawiecki e gli amici spagnoli di Vox. Ma intanto briga per assicurarsi un posto al sole a Bruxelles, pure accanto ai Socialisti. E Salvini, intanto, prosegue nella sua opera di logoramento
La rassicurazione è stata categorica perché i dubbi andavano fugati. Nella hall del Sofitel Victoria Hotel di Varsavia, i deputati del PiS non nascondevano una certa perplessità: “Siamo curiosi di ascoltare Giorgia Meloni, perché sappiamo che le sue scelte saranno decisive anche per noi”. Ed eccola, la premier acclamata, che prende la parola e dispensa promesse di perdurante lealtà: “Continuiamo a combattere insieme. Quelli che pensano che ci possiamo dividere si stanno illudendo”. Parla al suo partito, quello dei Conservatori europei. E parla, inaugurando il convegno di Ecr, con accanto l’amico storico, Mateusz Morawiecki, il premier polacco che di buon mattino l’ha accolta nel Palazzo della Cancelleria, dopo che nell’ultimo Consiglio europeo, una settimana fa, i due avevano, per la prima volta, preso strade diverse. L’incontro, sia pur programmato da tempo, serve insomma a rinsaldare i legami, a ribadire la vicinanza. E Meloni garantisce piena sintonia anche sul tema che a Bruxelles ha prodotto la frattura: l’immigrazione. Solo che Morawiecki, forse malgré soi, col suo semplice sfoggiare le parole d’ordine di sempre del sovranismo, col suo ricorrere al vocabolario degli affetti di Visegrád, finisce un po’ per illuminare le reticenze di Meloni, il suo recente, per quanto contraddittorio, tentativo di accantonare la propaganda antieuropea. Tanto lei è misurata, nella sua rivendicazione di questo strano nazionalismo transnazionale, tanto lui è spietato. E si capisce: Morawiecki è alle prese con una tribolata campagna elettorale. E anche su quella Meloni era chiamata a dare risposta. Cosa che la premier fa. Lasciando poi che a specificare, a sgrossare quel che lei pretende di definire con nettezza, insomma a declinare in politichese, ci pensino i suoi consiglieri.
Perché Meloni, sulla fermezza di FdI, non ammette fraintendimenti. “Per noi, per tutta l’Ue, è fondamentale che il PiS e Mateusz continuino a governare”, dice pensando alle elezioni di ottobre. E prima di allora, tra qualche settimana, la sfida è in Spagna. “Sfida affascinante per gli amici di Vox. E sono convinta che Santiago Abascal riuscirà ad affermarsi”. Insomma, nessun tentennamento. “Perché il nostro unico obiettivo è rafforzare la nostra famiglia”. Almeno queste sono le intenzioni dichiarate.
Quelle più recondite, sono invece Carlo Fidanza e Nicola Procaccini, i due principali europarlamentari di FdI presenti a Varsavia, a sussurrarle. E qui si capisce allora che sì, “certo che la polarizzazione dello scontro tra Ppe ed Ecr, in vista delle elezioni di ottobre, ci preoccupa”. Et pour cause, se è vero che Manfred Weber, garantendo il pieno sostegno dei Popolari a Donald Tusk, definisce il PiS di Morawiecki “il nostro principale nemico”, ricambiato dal premier polacco che paragona il capo del Ppe alla brigata Wagner. Meloni, in autunno, si ritroverà lì, nel mezzo: stretta tra gli amici da tutelare e quelli che vorrebbe guadagnarsi. Lo ammette anche lei, in fondo, quando spiega che “noi oggi possiamo contagiare altre persone. Con la forza della serietà, Ecr dev’essere aperto a lavorare con tanti altri partiti”.
E insomma il sospetto che questa fortezza che finora l’ha protetta, questo partito europeo che un po’ l’ha legittimata, negli anni in cui sembrava relegata ai margini dell’opposizione urlata, forse inizi a esserle un po’ d’impaccio, a Meloni, ora che le sue ambizioni, e il suo ruolo, le impongono di cercare amicizie più decisive, a Bruxelles. Ma liquidare il partito che la settimana scorsa l’ha riconfermata presidente, non si può. Non ora, almeno. “E in ogni caso, non prima delle elezioni”, dicono a Via della Scrofa. E poi? “Poi si vedrà”. L’obiettivo è quello di egemonizzare il gruppo: “Puntiamo a essere di gran lunga la prima componente di Ecr”, dice Fidanza. Significa, intanto, surclassare i polacchi del PiS. E significa, pure, prendere le redini del gruppo a Bruxelles, indirizzarne le scelte. “Farsi garanti della direzione che Ecr prenderà di fronte a tutti gli interlocutori”.
E dunque forse neppure servirà smantellarlo, Ecr: basterà guadagnarsi sul campo il diritto a indicare la strada, lasciando poi che l’intendenza segua, o ne tragga le conseguenze. E la strada, è evidente, è quella che porta a Ursula, all’accordo non solo col Ppe, ma anche con liberali e progressisti. E certo per ora anche i più pragmatici, come Guido Crosetto, escludono dal perimetro delle possibili alleanze europee di FdI il Pse. Anche Antonio Tajani, sempre più in sintonia con la premier, ieri, durante una riunione dei vertici di FI – che ha visto, tra l’altro, anche un mezzo alterco tra Licia Ronzulli e Maurizio Gasparri – ha condiviso un documento in cui spiega che l’obiettivo degli azzurri è “far nascere alle prossime elezioni europee una maggioranza politica costituita da famiglie di partiti omogenee, i Popolari, i Liberali, i Conservatori”. Ma chi giovedì scorso ha sentito parlare Emmanuel Macron al vertice di Renew, assicura che “per lui è impensabile entrare in coalizione con Ppe ed Ecr da solo”. Aprire a Macron significa, per Meloni, mettere già in conto di dover digerire anche un’intesa coi Socialisti.
Ma questo ovviamente ancora non lo si può dire. Anche perché, al solo sentirlo evocare, un simile scenario, Matteo Salvini è pronto a martellare contro l’abiura dei patrioti. Anche le rassicurazioni offerte da Meloni a Morawiecki, dai confidenti del ministro dei Trasporti, vengono lette come la dimostrazione che “il nostro pressing fa effetto sulla premier”, che insomma “il fiato sul collo” privi la capa di FdI dello spazio di manovra di cui avrebbe bisogno. “Se ci facciamo la guerra tra noi per prendere un voto in più degli altri, questa campagna elettorale sarà solo una gazzarra”, dice Massimiliano Romeo, capogruppo leghista al Senato. “Io credo che invece stavolta si può vincere davvero, come centrodestra: e vincere significa cambiare gli equilibri a Bruxelles. E spero che tutti, nel centrodestra italiano, intendano la vittoria in questo senso”. E chissà se il messaggio è arrivato fino a Varsavia.