Il racconto
Santanchè si difende in un'Aula estiva e svogliata. Scene dal Senato
La ministra del Turismo parla a Palazzo Madama e accusa qualcuno d’ipocrisia: “Prenotavo per loro al Twiga”. E tutti guardano l'abbronzatissimo Francesco Boccia, capogruppo del Pd. Chissà perché
A un certo punto il capogruppo della Lega, Massimiliano Romeo, prende la parola nell’Aula del Senato e si rivolge all’opposizione ricordando che loro non erano stati garantisti con Matteo Salvini intorno alla questione della nave Diciotti. Quando il capo della Lega era ministro dell’Interno. E glielo dice così: “Non avete esitato a mandare a processo Salvini perché agiva da ministro in difesa dei propri confini”. I confini di Matteo Salvini. Bisogna proprio immaginarseli. Dalla cintola alle scarpe? Dalla punta dei capelli al risvolto dei pantaloni? Poco prima aveva preso la parola il senatore Pierantonio Zanettin, di Forza Italia. Il quale, ricordando che il ministro Daniela Santanchè, protagonista del dibattito, aveva usato come garanzia per tenere in piedi le sue aziende la villa su tre piani che possiede in centro a Milano, pensa di sottolineare con alcune riflettute parole lo spirito di abnegazione imprenditoriale di Santanchè. Queste parole, testuali: “L’aver messo a rischio la sua casa la mette in sintonia con il paese”. La casa da sei milioni di euro. In sintonia col paese.
Ecco. Poco prima, nel salone Garibaldi, che sarebbe il Transatlantico del Senato, il presidente Ignazio La Russa canticchiava il tormentone estivo di Annalisa: “Ho visto lei che bacia lui / che bacia lei / che bacia me”. Insomma oggi pomeriggio, a Palazzo Madama, nel giorno in cui Daniela Santanchè doveva essere crocifissa in Aula per la storia dei dipendenti non pagati, per le multe e per altre faccende che hanno a che vedere con la sua professione d’imprenditrice, il clima non era né grave né serio. L’opposizione affidava le sue incursioni a deputati di seconda fila, con il Pd che copiava metà dell’intervento di Italia viva e il solo Movimento 5 stelle che si distingueva per il tentativo di una contestazione in vecchio stile grillino, un po’ come quando salivano sul tetto della Camera. A un certo punto parte infatti un piccolo coro: “Dimissioni dimissioni”, che tuttavia si spegne presto in un’Aula percorsa da una svogliatezza blasé, da un languore estivo quasi di lago o di lungomare. Presenteranno una mozione di sfiducia, i 5 stelle. Ma Italia viva non la voterà. Sicché, quando parla Enrico Borghi, di Italia viva, i grillini chiacchierano dandogli le spalle.
E quando interviene Antonio Misiani, del Pd, quelli della maggioranza giocano agli asteroidi sui telefonini o leggono l’iPad. Tanta è la tensione. Alla fine, eccettuato il linguaggio da Nino Frassica di Romeo e Zanettin (una cosa che andrebbe presa drammaticamente sul serio), l’unico passaggio che ha svegliato il pubblico è stato quello in cui il ministro Santanchè ha detto di non avere multe da pagare perché la sua automobile la guidavano i carabinieri (parte qualche risata). Ma soprattutto l’uditorio si è animato quando Santanchè ha accusato “qualcuno” a sinistra, un ignoto, di essere un ipocrita. “Qui c’è gente che mi chiedeva di prenotargli un posto al Twiga”. Ecco. In un lampo mezza Aula si è voltata a guardare l’abbronzatissimo Francesco Boccia, il capogruppo del Pd. Chissà perché. (segue nell’inserto IV)
Alla fine, forse, l’unica notizia è che Carlo Calenda si è infuriato con Matteo Renzi. Calenda avrebbe voluto che il Terzo polo chiedesse le dimissioni di Santanchè, come i 5 stelle e il Pd. Cosa che Renzi invece ha impedito. I due, infatti, in Aula, nemmeno si guardavano in faccia. Sguardi di cemento. Ma a pensarci bene, nemmeno questa è una notizia.