L'editoriale
Perché il libero scambio è l'arma migliore contro i nemici della democrazia
La guerra di Putin e la storia dei paesi che da anni cercano di emanciparsi dall’egemonia russa ci dicono quanto è importante scommettere sulla globalizzazione per proteggere i paesi minacciati dai regimi illiberali. Un ripasso per gli ex sovranisti
La questione è semplice e lo è ancora di più a un anno e mezzo dall’invasione dell’Ucraina: più globalizzazione uguale più libertà. C’è stato un tempo in cui il fronte trasversale del populismo nazionalista ha cercato in tutti i modi di descrivere la difesa della democrazia e la difesa del mercato come concetti in contrasto l’uno con l’altro. C’è stato un tempo in cui i nemici della globalizzazione, nemici convinti cioè che l’esondazione del mercato potesse coincidere con una riduzione delle libertà di un determinato paese, hanno cercato in tutti i modi di denunciare quanto potesse essere pericolosa, per la sovranità di una nazione, la moltiplicazione degli accordi di libero scambio. C’è stato un tempo in cui i teorici dell’antiglobalismo hanno cercato in tutti i modi di dimostrare quanto l’eccessiva esposizione di un paese alle dinamiche di mercato potesse diventare controproducente per la difesa della libertà dei popoli. Quel tempo, però, è finito. E l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha messo in evidenza una dinamica diversa, contraria, persino controintuitiva.
E la questione è semplice: più globalizzazione uguale più libertà. In una prima fase del conflitto, la coincidenza assoluta tra difesa del mercato e difesa della democrazia la si è potuta apprezzare quando le multinazionali più importanti del pianeta hanno scelto di rinunciare volontariamente al mercato russo. Messaggio chiaro: escludere progressivamente Putin dalla globalizzazione è l’arma più forte di cui dispone oggi l’occidente per difendere la libertà dell’Ucraina. In una seconda fase del conflitto, invece, l’allargamento dei corridoi del mercato è diventato cruciale per una ragione diversa, non meno nobile, non meno cruciale: scommettere sull’apertura del mercato per avvicinare ancora di più i paesi che condividono gli stessi valori democratici e per provare ad allontanare alcuni paesi a rischio dai regimi illiberali. Sul primo fronte, la storia è nota e persino gli ex sovranisti ora hanno capito quanto siano importanti gli accordi di libero scambio (pensate al Ceta, all’accordo di libero scambio con il Canada, contro il quale un tempo Meloni si scagliava considerandolo “una porcata contro i bisogni dei popoli, una schifezza che massacra il made in Italy” e che ora invece il governo Meloni considera un accordo “a vantaggio delle nostre produzioni che mette in condizione l’Italia, insieme con l’Europa, di competere in altri continenti”). Sul secondo fronte la storia è meno nota ma non è meno suggestiva. Ed è una storia che riguarda alcuni paesi che da anni cercano di emanciparsi dall’egemonia russa. Paesi come il Kazakistan. Paesi come il Kirghizistan. Paesi come l’Azerbaigian. Sono tre paesi che diranno poco al grande pubblico ma sono tre paesi, un tempo appartenenti all’Unione sovietica, con i quali l’Unione europea, che ha già avviato il percorso per far entrare nell’Ue altri paesi ex sovietici, paesi come la Moldavia, paesi come la Georgia, oltre che paesi come l’Ucraina, sta tentando un esperimento ambizioso: utilizzare l’integrazione economica con l’Europa per allontanarli dall’influenza russa. Siamo sempre lì: più globalizzazione uguale più libertà.
La sfida non è semplice, perché alcuni tra i paesi citati soffrono ancora pesantemente l’influenza della Russia e molti osservatori hanno notato in questi mesi quanto l’improvviso boom di esportazioni dall’Unione europea al Kazakistan abbia coinciso con un boom di esportazioni dal Kazakistan alla Russia, cosa non si fa per aggirare le sanzioni. Ma mettere il mercato al servizio della difesa della libertà, della democrazia, dei diritti umani è la grande sfida della nostra contemporaneità. “La politica commerciale – ci dice in una chiacchierata volante uno dei vicepresidenti della Commissione europea, Valdis Dombrovskis – è tornata in primo piano nel processo decisionale dell’Ue. Vediamo un sostegno molto più forte per negoziare nuovi accordi di libero scambio, ottenere accordi di libero scambio concordati oltre la linea e aggiornare gli accordi di libero scambio esistenti.
Puntiamo sugli accordi con alcuni paesi dell’Asia centrale. Puntiamo sugli accordi commerciali già esistenti, come quelli costruiti con Canada e Regno Unito. E continuiamo a perseguire nuovi accordi. Penso all’accordo con la Nuova Zelanda, in attesa di ratifica da parte del Parlamento europeo e da parte degli stati membri. Penso all’accordo di libero scambio con il Cile, con l’Australia, con il Kenya, con il Messico, con i paesi dell’America meridionale. E ancora: con l’India, con l’Indonesia. Per l’Europa, si tratta di uno sviluppo notevole, data la tradizionale riluttanza di molti stati membri a considerare il libero scambio come un tema cruciale da mettere in cima ai nostri ordini del giorno”. Scommettere sulla globalizzazione per proteggere i paesi minacciati dai regimi illiberali. Scommettere sul mercato per indebolire i paesi nemici della democrazia. Scommettere sul libero scambio per avvicinare paesi desiderosi di isolare le dittature. Diceva il grande economista francese Frédéric Bastiat che dove non passano le merci, passeranno gli eserciti. L’invasione dell’Ucraina, fra le tante cose che ci ha insegnato, ci ha ricordato anche questo. Dove passano le merci, in abbondanza, di solito non passano gli eserciti. La globalizzazione forse non salverà il mondo, ma certamente aiuterà anche nel futuro i paesi intenzionati a mettere il mercato a difesa delle nostre libertà.