l'intervista
Lollobrigida: "Le inchieste contro di noi sono sospette: siamo gli eredi del Cav."
Meloni tace, ma il suo super ministro no e attacca la magistratura: "Il cadenzario dei pm è preoccupante". Ma dopo la puntata di Report, nel partito, la difesa d'ufficio a Santanchè inizia a scricchiolare: "Non possiamo parlare tutta l'estate dei nostri casi giudiziari"
“C’è un certo scadenzario in queste inchieste molto sospetto. Anzi preoccupante, mi verrebbe da dire”. Francesco Lollobrigida ha appena terminato di presentare la social card contro il caro prezzi (380 euro per chi ha un Isee fino a 15mila euro). Ed ecco che il ministro dell’Agricoltura, nonché peso massimo della real casa meloniana, sembra tirar fuori un’altra carta. Questa volta contro il “caro pm”. Uno scudo, meglio un golden power, per depotenziare l’azione della magistratura che, come si sa, sta indagando per fatti diversi e non collegati: Daniela Santanchè, Andrea Delmastro e il figlio di Ignazio La Russa. E così al Foglio il “Lollo nazionale” parla di “scadenzario sospetto”.
Come a dire: troppe inchieste tutte insieme e a grappolo. Ma il ministro dice anche di più.
Giustifica la concomitanza di fascicoli aperti a carico di personalità di primo piano del suo partito, Fratelli d’Italia, come una conseguenza politica: “D’altronde siamo gli eredi di Berlusconi – dichiara ancora Lollobrigida con ironia – e queste sono le conseguenze. Prima è toccato a lui, ora tocca a noi”. Cioè ministro? “Berlusconi aveva raccolto in sé tutte le potenzialità delle inchieste dei magistrati, adesso che non c’è più ha liberato energia”. Le parole di Lollobrigida raccolte da questo giornale stridono con il silenzio che si è imposta Giorgia Meloni negli ultimi giorni. Dopo cioè lo scontro con l’Anm frutto della nota uscita da Palazzo Chigi (ispirata pare dal sottosegretario Giovanbattista Fazzolari) nella quale ci si domandava con retorica se “una fascia della magistratura abbia scelto di svolgere un ruolo attivo di opposizione e di inaugurare anzitempo la campagna elettorale per le elezioni europee”.
E dunque il colloquio offerto da Lollobrigida va proprio nella direzione delle ormai “famose fonti” di Palazzo Chigi. Attenzione. Non si tratta di un ministro qualsiasi: è il più politico del governo, una sorta di vicepremier ombra per peso dentro Fratelli d’Italia e nella coalizione oltre che per storia personale con Giorgia Meloni. Parole-petardi da usare come propaganda, lettura dei fatti dal bunker. Con una differenza. Lei, la premier, da giorni sta in silenzio (anche se forse oggi romperà il digiuno della parola), lui invece ha deciso di fornire una chiave a tutte queste faccende che si sommano fra loro in un vorticoso minestrone che vedrebbe un’unica mano, “quella di una certa magistratura”, girare il mestolo nel grande pentolone delle inchieste. Sicché il ministro fa sua la strategia del sospetto. Che poi fa rima, alla fine, con complotto delle toghe (rosse o armocromiste?) fino a sublimare tutto con una spiegazione da fornire alla gente: siamo gli eredi di Berlusconi, ci sta. Ergo: come toccò a lui, adesso che non c’è più se la prendono con noi. “Ha ragione Daniele Capezzone: questa cosa dello scadenzario l’ha detta lui in tv e io la penso come lui”, dice ancora Lollobrigida prima di congedarsi. “Siamo sereni – aggiunge con una punta di ironico citazionismo – ma non nell’accezione renziana”.
Epperò in Transatlantico si respira un’aria diversa, più pragmatica. Luca Ciriani, ministro per i Rapporti con il Parlamento in quota FdI, teme che “si parli tutta l’estate delle inchieste a scapito dell’azione di governo”. A dire il vero si parla molto, finora, del caso Santanchè soprattutto dopo l’ultima puntata di Report che ha messo in fila le dichiarazioni della ministra in Senato e una ricostruzione puntuale dei fatti avvenuti nelle sue società. Versioni abbastanza distanti, per usare un eufemismo. “Certo sarebbe più facile difendere persone più simpatiche e meno ricche. Che ne so tipo Fitto, ma fino a prova contraria stiamo con Daniela”, spiega ancora Ciriani. Che poi ammette come un’accusa per bancarotta potrebbe far traballare la difesa, molto di più del falso in bilancio. “E comunque io il Twiga non so nemmeno dove sia: non ci sono mai andato per non incontrare troppa gente di sinistra”, dice ancora il ministro a proposito dello stabilimento della Pitonessa. Lei, la ministra, manda messaggi di fuoco a chi le chiede spiegazioni: “Sono serena, querelerò tutti alla fine”. Nel partito monta la consapevolezza che inizi a traballare. Solo che Meloni finora si è spinta in una difesa così netta che renderebbe difficile qualsiasi retromarcia. Al netto della salvifica mozione di sfiducia presentata dal M5s in Senato. Non si sa quando si discuterà, anche qui è una questione di “scadenzario”.