Il caso
Prime crepe nella maggioranza sul telefono del figlio di La Russa
Ieri il sequestro del cellulare disposto dalla procura di Milano (ma non per la sim). Il vicepresidente della Camera Mulè rompe il silenzio del centrodestra: "Io l'avrei consegnato prima". E Sgarbi: "Bisogna evitare il voto al Senato"
“Anch’io ho una figlia con una sim intestata a me. Non so se la situazione del figlio di La Russa sia analoga, ma nel mio caso, visto che il telefono lo usa davvero lei, lo consegnerei ieri, non domani”. Il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè lo aveva detto così, senza mezzi termini, come la pensasse sul caso che ha riguardato Leonardo Apache La Russa. E nella serata di ieri il consiglio del forzista ha avuto ancora più senso, visto che la Procura di Milano ha sequestrato il telefono (ma non la sim) di La Russa figlio.
Le parole di Mulè erano state seguite a ruota anche dal sottosegretario Vittorio Sgarbi: “Sì, La Russa farebbe bene a consegnare il cellulare, perché ha il grande vantaggio di sapere cosa contengono quei messaggi. Puoi anche trincerarti nel rispetto delle garanzie, ma bisogna evitare un rischio più grande”. Sarebbe? “Il discredito che deriverebbe dal voto della giunta per le autorizzazioni a procedere. La consegna spontanea del telefono è la scelta migliore”. E insomma in un venerdì di mezza estate, mentre il caso La Russa montava di ora in ora, cercavamo qualcuno nel centrodestra che prendesse una posizione. Cosa abbiamo ottenuto? Per lo più dinieghi. Nelle stesse ore in cui la Procura di Milano paventava l’ipotesi di chiedere al Senato un’autorizzazione a procedere per sequestrare il cellulare di Leonardo Apache La Russa - ipotesi poi venuta meno nel corso delle ore -, abbiamo telefonato, scritto, quasi stalkerizzato una ventina di sottosegretari, viceministri, senatori e deputati di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. Abbiamo fatto dei buchi nell’acqua. Almeno fino alle prese di posizione concesse al Foglio da Sgarbi e Mulè.
Prima delle parole inequivoche del sottosegretario alla Cultura e dell'esponente di Forza Italia, infatti, avevamo raccolto ben poco. Il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri ci aveva detto: “Ma perché voi lo avete visto il contratto telefonico del figlio di La Russa? E allora di cosa parliamo?”. Ma almeno la sua era stata una risposta cortese. Di buona mattina un senatore sempre pronto a dire la sua ci aveva rimbalzato così: “Il telefono di La Russa? Aspè, mo sto' mpicciato. Ti richiamo dopo”. Seguirà del ghosting.
Stessa identica strategia seguita anche dai colleghi di un fronte trasversale di dinieghi. Un capogruppo solitamente zelante nel rilasciare un commento non si trova. Ci rivolgiamo al sempre solerte addetto stampa. Dopo alcune ore: “Mi dispiace, ma anche a me continua a dire telefono staccato”. E vabbè che è pur sempre un venerdì d’afa e solleone, ma qui si è tagliata alla radicepersino la possibilità di auscultare per lunghi minuti il “tuuuu tuuuu” che prelude a un vuoto di comunicazione. Quando telefoniamo a Fabio Rampelli, storico fedelissimo di Giorgia Meloni da un po’ di tempo non più così fedelissimo, ci risponde con grande onestà: “E’ una domanda inaspettata, a dire il vero”, ci confessa. Ma lei lo consegnerebbe il telefono? “Diciamo che in linea di principio chi indaga dovrebbe fare la sua strada senza che si inneschino code di processi mediatici”. Anche se subito ci tiene a specificare, con un esercizio di equilibrismo, che “non ho alcuna intenzione di attaccare la magistratura”.
Poi appunto, le voci che abbiamo raccolto precipitano in una giornata il cui unico elemento fattuale, fino a un certo punto, erano state le dichiarazioni dello stesso La Russa: “Della questione telefono chiedete al mio avvocato. Mi va dato atto che su questa vicenda non ho più detto una parola”. E se si faceva la fatica di chiedere all’avvocato quel che si otteneva era ancor meno: “La sim è del presidente? E’ un tema che non abbiamo ancora preso in considerazione”. Nel frattempo, i compagni di partito e di coalizione sfruttavano l’inusuale silenzio larussiano per non dire nulla neppure loro. Ma i casi di Sgarbi e Mulì hanno dimostrato che nel frattempo delle eccezioni sono cominciate ad affiorare. Prima della decisione della Procura milanese di disporre il sequestro del cellulare. Chissà che il mutismo di una parte della maggioranza non possa presto trasformarsi in nervosismo manifesto.