Salario Meloni
Verso il rinvio a settembre sul salario minimo. Rizzetto (FdI): "Al lavoro povero ci pensiamo noi"
Meloni apre al confronto. Il testo delle opposizioni in Aula alla Camera giovedì, ma è pronta la sospensiva. E intanto Forza Italia presenta la sua proposta
“L’obiettivo del salario minimo non deve essere permettere a qualcuno di fare campagna elettorale questa estate, ma dare risposte pragmatiche a un problema serio, quello del lavoro povero. La sospensiva fino a settembre permetterà questo, ieri Forza Italia ha presentato la sua proposta, è un primo passo per sintetizzare entro qualche settimana la posizione della maggioranza e cominciare una discussione in commissione”. Walter Rizzetto, deputato di Fratelli d’Italia e presidente della commissione Lavoro di Montecitorio, difende la decisione della maggioranza, pronta a rinviare il dibattito sul salario minimo al 25 settembre. Quando giovedì la proposta di Pd, M5s e Azione e Avs arriverà in Aula la maggioranza presenterà una richiesta di sospensiva di due mesi rinviando il testo in commissione Lavoro dove arriveranno le proposte di maggioranza.
In mattinata era stata Giorgia Meloni ad aprire a “un confronto con le opposizioni perché nessuno più di me si rende conto di quanto il problema con i salari c’è”, ma dem e grillini avevano subito sentito puzza di fregatura. “Non è così”, assicura invece Rizzetto. “Noi vogliamo fare le cose fatte bene, abbiamo presente il problema del lavoro povero, ma come ha detto la premier la strada per contrastarlo passa dal rafforzamento della contrattazione collettiva”. Meloni ha accusato: “Del problema invece le opposizioni se ne accorgono solo ora”. “E ha ragione – dice il deputato di FdI: – io nel 2019 depositai in commissione un progetto di legge che prevedeva un salario minimo dove non arrivavano i contratti, loro hanno governato per diversi anni, se avessero messo allora il 30 per cento dell’impegno di oggi sul tema salari, le soluzioni già ci sarebbero, invece da Poletti a Orlando, da Di Maio a Catalfo, nessun ministro del Lavoro dei passati governi è intervenuto”.
Eppure Elly Schlein e Giuseppe Conte sono convinti che quello della maggioranza sia solo un modo per prendere tempo e non scontentare l’oltre 70 per cento degli italiani che apprezzano l’idea del salario minimo. “In realtà – dice Rizzetto – la proposta delle opposizioni prevede che il salario minimo inizi a funzionare da novembre 2024, anche se avessimo votato ieri sera la norma non sarebbe comunque partita subito, ma dopo oltre un anno”. Il testo di Pd, Azione e M5s prevede in effetti una decorrenza dell’efficacia della legge al 15 novembre 2024 “per consentire l’aggiornamento dei contratti collettivi, al fine del loro adeguamento al trattamento economico minimo orario di 9 euro lordi”. A sinistra però sono davvero convinti che la strategia della destra sia quella di abbassare l’attenzione sull’argomento per poi lasciarlo cadere. “Noi – dice Rizzetto – lavoriamo da mesi a interventi integrati a partire dal taglio strutturale del cuneo fiscale per garantire le fasce più deboli, magari non si chiamerà salario minimo, ma ci sarà un intervento, serve come altre cose: da una stretta sulle gare al massimo ribasso fino al miglioramento dell’welfare aziendale”. La proposta di Forza Italia – che piace a Carlo Calenda – “E’ uguale alla nostra” – si basa su due principi. Il primo è l’applicazione alle attività lavorative non coperte da un contratto collettivo nazionale del salario previsto dal contratto collettivo nazionale leader per il settore di riferimento, oppure, dove manca il settore di riferimento, l’applicazione di un salario equivalente alla media dei principali contratti collettivi nazionali applicati nei settori lavorativi affini. Il secondo riguarda invece i contratti che esistono, ma prevedono importi più bassi di quelli previsti dal contratto leader del settore di riferimento, in quel caso i salari dei lavoratori saranno equiparati a quest’ultimo. Si comincerà da qui? “E’ un punto di partenza – dice Rizzetto – difendiamo un principio che è quello di estendere erga omnes la validità dei contratti collettivi più rappresentativi”.