servizio pubblico
Una modesta proposta per scardinare la difesa politica dei taxi
Italia viva e Azione portano in Parlamento una risposta pragmatica allo stallo sulla situazione dei tassisti. Un intervento limitato ma strutturale che rappresenta un piccolo segnale
Modificare l’insensato regime attuale degli autoservizi pubblici non di linea si è rivelata da decenni in Italia una causa persa. Voler toccare i taxi ha bruciato le dita del governo Monti, di quello Renzi e di quello Draghi. I 40 mila tassisti italiani hanno opposto una resistenza sempre più combattiva arrivando a bloccare le città, la destra ha finito per sposare sempre più la difesa dello status quo, in alcune città il Pd ha provato a lanciare soluzioni d’emergenza come recentemente a Milano, tranne scoprire subito che la regione Lombardia è sulla linea opposta, opponendo la necessità di una ricognizione della situazione da fare naturalmente in tempi lunghi e con i rappresentati dei tassisti. Esattamente come avvenuto coi balneari.
Il divario tra l’offerta di taxi per abitante tra le città italiane e quelle europee è stranoto e diventa ancor più grave nell’attuale stagione turistica. E’ altrettanto stranota la scarsa credibilità dei redditi dichiarati dai tassisti nelle grandi città, distribuiti in una forbice così ampia che è difficile spiegarla con i diversi abitanti e turisti serviti. Ma niente di tutto ciò è riuscito sin qui a scalfire il muro della difesa corporativa. Salvini ha proposto una riformetta con licenze temporanee di tre mesi a garanzia del fatto che per lui tutto deve restare come prima, e semmai si dovesse metter mano al numero di licenze lo stato dovrebbe rifondere i danni a chi oggi la detiene. Bislacco meccanismo, per cui il contribuente dovrebbe rifondere a spese proprie l’attenuazione di quella che da tempo è una rendita non di mercato. In questa situazione di stallo, meglio dunque un intervento limitato ma strutturale, piuttosto che inseguire una riforma completa per taxi, Ncc e servizi offerti su piattaforme tecnologiche a prezzo di mercato per densità di domanda temporale (in Italia Uber Pop divenne illegale tra il 2015 e il 2017 per sentenze di tribunali che accolsero le impugnative dei tassisti, con Autorità dei Trasporti e Antitrust che vennero sconfitte; si arrivò poi a sentenze contro la collaborazione tra Uber e Ncc, solo dal 2022 in alcune città sono nate iniziative di collaborazione tra cooperative di taxi e Uber). La riforma strutturale sarebbe obbligata in un paese serio ma velleitaria qui da noi, di fronte alla decennale resa della politica ai tassisti.
Ecco allora da dove nasce l’iniziativa che viene presentata domani alla Camera: uno snello progetto di legge in cinque articoli frutto della collaborazione tra liberaldemocratici europei e i parlamentari di Italia Viva e Azione che ne sono firmatari, tra cui Luigi Marattin e Giulia Pastorella. Il grimaldello escogitato è semplice: raddoppiare in 30 giorni dall’approvazione della legge l’attuale offerta di taxi, con la concessione di una licenza supplementare a tutti coloro che oggi ne sono titolari. Attenzione: le licenze aggiuntive sono concesse a titolo gratuito ma sono obbligatoriamente destinate a essere cedute. Se chi le riceve non le cede entro 24 mesi, le licenze aggiuntive decadono e il comune le mette a gara. E’ un meccanismo che sceglie in questo modo di affrontare il nodo che deriva dalla classica ipocrisia italiana: aver sempre previsto licenze a titolo gratuito, mentre nel mercato secondario la loro compravendita arriva a superare i 200 mila euro nelle maggiori città metropolitane. L’idea è che la difesa oltranzista dei tassisti possa piegarsi di fronte a un criterio che evita assolutamente il ricorso ai soldi del contribuente, ma consente al tassista una più che congrua entrata aggiuntiva a fronte del raddoppio dell’offerta e dei minori incassi, attraverso la vendita a prezzo di mercato secondario della seconda licenza concessagli.
La proposta elimina anche alcuni degli attuali gravami che continuano a penalizzare l’offerta di Ncc, ottenuti anch’essi dai tassisti con la conferma nel 2019 ad esempio dell’obbligo di tornare in rimessa dopo ogni corsa. E si limita a sfiorare il tema Uber, imponendo alle regioni obblighi di vigilanza sull’adozione di tutte le più avanzate piattaforme tecnologiche per il trasporto non di linea. Ma la convinzione dei proponenti è che il meglio sia nemico del bene, in un paese che di solito preferisce il male corporativo a ogni svolta verso concorrenza e anteposizione degli interessi del cliente, a quelli di chi gestisce il servizio affidatogli dal pubblico. Mica capita solo nei taxi: è lo stesso guaio in cui langue da decenni il trasporto pubblico locale affidato ad aziende pubbliche inefficienti. Chissà se i tassisti e la destra si opporranno anche a questo. Possibilissimo, ma almeno non chiacchierino più dell’Italia come apice di qualità per attrarre turisti.
Infine: è anche un piccolo segno che le forze in Parlamento del terzo polo possono collaborare su proposte comuni, non battagliare reciprocamente in autolesionistiche scomuniche.