(foto Ansa)

Il caso

Salvini silente su visita di Meloni a Biden. I suoi: "Successo del governo. Ma tifiamo per i repubblicani"

Luca Roberto

Il ministro non proferisce parola sul viaggio a Washington. E nutre dubbi sulla premier che archivia la stagione trumpiana

La consegna ufficiale è far dire ai suoi: “Il viaggio della Meloni è stato un successo non solo personale, ma di tutto il governo”. Ma Matteo Salvini, in questa sua nuova veste di ministro tecnico, tutto conferenze, cantieri, caschetti antinfortunistici e gilet catarifrangenti, s’è dimenticato lui stesso di complimentarsi pubblicamente. Ché in effetti sarebbe strano vederlo lodare il vis-à-vis con Biden, lui che ancora fino a pochi mesi fa ripeteva: “Con Trump in Ucraina ci sarebbe la pace”. Tanto che a un anno dalle presidenziali tra i leghisti c’è chi come l’ex viceministro Guglielmo Picchi dice: “Un conto sono i rapporti istituzionali. Un altro quelli politici. E noi continuiamo a simpatizzare per la vittoria del Gop”.

Il viaggio della premier Meloni a Washington, conclusosi ieri con la visita al cimitero di Arlington, ha ha evidenziato una buona sintonia tra i governi italiano e americano. Ma soprattutto, è sembrato chiudere definitivamente la stagione della destra filotrumpiana. E però se questo discorso vale per Meloni e per Fratelli d’Italia, da tempo candidatisi a raccogliere il ruolo di baricentro del centrodestra italiano, cosa pensa invece nel profondo Salvini? Il segretario della Lega è pur sempre quello dell’aridatece Trump, pronunciato quando già c’era stato l’assalto a Capitol Hill, delle conferenze stampa con tanto di Make America Great Again stampato sulla mascherina, delle spedizioni (nel 2019, era ancora al governo da ministro dell’Interno) negli Stati Uniti alla ricerca di un selfie e un endorsement da rivendersi in Italia. Anche se poi Trump gli preferì Giuseppi Conte.

 

Fatto sta che così come tra i leghisti si riconoscono i meriti di un’interlocuzione proficua con un alleato che si considera imprescindibile, allo stesso modo si tende a operare una separazione netta tra ragioni di stato e ragioni di partito. “Perché quel che succederà alle elezioni del prossimo anno non ci riguarda. Non vogliamo interferire su questioni interne”, confessa il deputato della Lega Stefano Candiani. Quasi incurante del passato a sostegno del tycoon. 

 

E’ per questo che alle preferenze per il 2024 si oppone  tutta la serie di crediti concessi dagli Stati Uniti, a partire dall’immigrazione. “Perché per la prima volta gli americani ci riconoscono un ruolo in Africa. E scommettono sulla nostra influenza nel Mediterraneo. A riprova del fatto che siamo tutto fuorché isolati”, dice ancora l’ex sottosegretario all’Interno. Ma certo fa specie che sia quasi impossibile trovare una dichiarazione ufficiale sulla visita della Meloni. Fate un test: provate a cercare sulle agenzie di stampa le parole Lega più Biden o Stati Uniti: quel che vi restituirà la ricerca è il nulla assoluto. E anche se si provano a chiamare leghisti di primo piano, spesso la risposta in chiaro che si raccoglie è: “Oggi preferisco non  commentare, mi scusi”.  Era stato lo stesso Salvini, rispondendo lo scorso aprile a una domanda dei giornalisti stranieri, a dire: “Sulle vicende giudiziarie di Trump e Bolsonaro non mi permetto di dare consigli o giudizi”. Il che risultò strano per un oratore così facondo,  abituato a commentare tanto la campagna acquisti del Milan quanto le canzoni di Ghali. Segnalava almeno in parte un imbarazzo non tanto per quel che aveva sostenuto fino ad allora. Ma forse, anche, per gli obiettivi futuri. Perché è sul mancato schiacciamento a quest’amministrazione americana che il leader del Carroccio, in cuor suo, vorrebbe poter costruire un contraltare elettorale qualora davvero i repubblicani (persino lo stesso Trump) andassero a segno. 

 

Il grande interrogativo, quindi, è sul grado di autocontrollo che avrà Salvini in questo suo nuovo ruolo, che tanto appeal - almeno nelle ambizioni leghiste - sembra riscuotere in seno alla classe imprenditoriale. Domani interverrà alla festa della Lega, a Cervia, in Romagna, a pochi passi  dal Papeete che fece venire giù governo Conte I e consenso personale. Dirà qualcosa a proposito del viaggio oltreoceano della sua presidente del Consiglio nonché alleata? Rimarcherà in toto i successi del governo, minimizzando la controparte? Qualsiasi silenzio potrebbe pur sempre essere letto come un: “Giorgia la pensa così, io invece, nelle retrovie, posso muovermi diversamente”. Anche arrivando a dire, nell’imminenza del voto americano, che va bene l’amicizia dei due paesi. Ma se proprio dovessimo scegliere tra Biden e Trump, non possiamo sconfessare il nostro cavallo.