recovery plan
Lo strano azzardo di Salvini per non perdere i soldi europei. Fitto dovrà mediare con Bruxelles
Il ministro delle Infrastrutture per ottenere i fondi Ue chiede alcune modifiche al Piano, che però potranno essere adottate solo se la Commissione accetterà di modificare le basi del contratto che l’Italia ha firmato per vedersi approvato il suo Pnrr
Che la fattibilità dell’operazione non sia esattamente certissima, lo ammette proprio lui che pure di quell’operazione è garante: “Noi confidiamo che la Commissione ci venga incontro. Se così non sarà, ne prenderemo atto, e cercheremo risorse alternative. Quali? Lo si vedrà”. E del resto una certa riserva Raffaele Fitto non potrebbe negarla, visto che lui stesso, nel dossier che ha inviato a Bruxelles, l’ha messa nero su bianco. Come a dire, dunque, che sì, per ora i puntigli di Matteo Salvini, perché qui di questo si parla, vanno difesi, ma al dunque si vedrà. Ché insomma, oltre a tutte le inevitabili complicazioni che la revisione del Pnrr ha imposto, il ministro per gli Affari europei s’è dovuto accollare pure questa grana delle rivendicazioni del collega dei Trasporti. La grana padana del Recovery.
Che l’incapricciarsi di Salvini non fosse aggirabile, Fitto l’aveva capito fin da quando, ed era ancora l’inizio di giugno, il vicepremier tergiversava più del dovuto nel fornire il dossier con le opere critiche di competenza del Mit inserite nel Pnrr. E il senso del tentennare s’è capito giovedì scorso: quando, cioè, Fitto s’apprestava a presentare le modifiche al Piano da proporre a Bruxelles e le chat di Salvini già esultavano: “Confermati gli oltre 39 miliardi del Mit da destinare alle infrastrutture”. E si capisce, certo, l’enfasi della rivendicazione: che un’eventuale rinuncia, sia pur parziale, a quei soldi, avrebbero confutato la narrazione del ministro col caschetto, il vicepremier capocantiere.
Che però accontentare quel capriccio salviniano abbia richiesto una certa dose di inventiva, lo si capisce sfogliando il dossier con le proposte di modifica del Pnrr al capitolo dei collegamenti ferroviari dell’Alta velocità verso il sud. Eccola, “l’operazione fantasia”. Linea Napoli-Bari, ad esempio. Vengono tagliati 53 milioni per la tratta Orsara-Bovino. Poche righe oltre, però, ecco che compaiono nuovi 53 milioni: sempre sulla linea Napoli-Bari, ma stavolta sulla tratta Telese-Vitulano. E la stessa logica, sia pure con manovre contabili più astratte, si applica anche alla Palermo-Catania, alla Orte-Falconare, alla Taranto-Battipaglia e alla Roma-Pescara. Il totale resta nel complesso immutato, ma le varie componenti di spesa stravolte. La logica dell’operazione è chiara: si eliminano dal Pnrr le tratte dove i lavori sono più problematici a beneficio di quelle dove i cantieri marciano più spediti.
Solo che questa mossa di apparente buonsenso è assai più azzardata di quanto non sembri. E non solo perché impone il paradosso di riportare nei Fondi di sviluppo e coesione alcune opere (è il caso della Napoli-Bari, ma non solo), che da quel bacino di spesa era state tolte in fase di stesura del Pnrr per farle entrare nel novero degli obiettivi da finanziare coi soldi del Recovery. Il problema più serio è quello che viene segnalato nello stesso dossier di Fitto, sia pure con frasi un poco oscure. In calce al lungo elenco di tratte ferroviarie sostituite con altre tratte ferroviarie, infatti, si legge: “Conseguentemente sarà necessario modificare CID e OA”. E poi, ancora: “Contestualmente, si richiede la modifica degli OA per eliminare il riferimento numerico ai singoli interventi”.
E’ il lessico impenetrabile della burocrazia ministeriale, certo, ma sta a significare questo: che tutte le modifiche volute dal Mit potranno essere adottate solo se la Commissione accetterà di modificare gli Accordi operativi (OA) e le Decisioni di esecuzione del Consiglio europeo (CID), ovvero le basi del contratto che l’Italia ha firmato con Bruxelles per vedersi approvato il suo Pnrr. Significa, in sostanza, andare a incidere sulle premesse fondamentali del Piano e sui parametri concordati per la valutazione del Piano stesso. Un’operazione tutt’altro che scontata. E tra le incognite contabili che gravano sulla modifica del Pnrr, questa potrebbe essere una delle più consistenti.