L'intervista

"L'Europa deve battere subito un colpo in Niger. Niamey è decisiva come lo è Kyiv". Parla Minniti

Valerio Valentini

Il Sahel come incubatore del terrorismo mondiale e la scommessa di Putin sull'Africa. "Borrell deve anzitutto farsi ricevere dai golpisti. E poi Ue e Unione africana devono camminare in sintonia. La prudenza di Crosetto? Comprensibile, ma attenti a non trasformare la diplomazia in ammissione d'impotenza". Il rischio di un conflitto e il ruolo strategico dell'Algeria

Altro che fine della storia. “Semmai c’è da fare i conti con un’altra verità: che spesso la storia si rivela in quella che erroneamente consideriamo la periferia del mondo”. Il Niger, dunque. “Quello che succede lì, è rivelatore di dinamiche molto più ampie delle pur importanti vicende interne al paese: in gioco ci sono gli equilibri della sicurezza mondiale, e anche, e non è poco, il destino dei rapporti tra Europa e Africa”. La sua Africa, viene da scherzare. E allora Marco Minniti, che quel continente lo conosce come pochi, in Italia, e che continua a studiarlo, sorride. E poi prosegue, serio: “Proprio perché questa è la posta in palio, e spero che tutti, sia a Roma sia a Bruxelles, ne siano consapevoli, c’è da augurarsi, forse da pretendere, che l’Europa scenda in campo, compatta, decisa”. Che fare? “C’è un Alto rappresentante per la politica estera, giusto?”. Josep Borrell, certo. “Bene: chieda subito di poter incontrare la giunta militare a Niamey. Sarà un gesto simbolico, forse, ma pure di quei gesti si sostanzia la diplomazia. Perché se i golpisti guidati dal generale Tiani si rifiutassero, a quel punto si assumerebbero una responsabilità enorme”. Basta? “Non basta. Deve anche garantire a tutte le parti coinvolte che l’Ue parteciperà pienamente allo sforzo diplomatico che stanno conducendo l’Ecowas, cioè la Comunità degli stati dell’Africa occidentale, e l’Unione africana e l’Onu per riportare l’ordine a Niamey”. Ma ne ha anche per l’Italia, di raccomandazioni, Minniti.

“Nessun paese europeo può illudersi di giocare un ruolo decisivo se agisce in solitaria, nel Sahel”, spiega l’ex ministro dell’Interno. Lo dice quando lo si sollecita a commentare questo  malcelato spirito di competizione che sembra animare gli atteggiamenti di Roma e Parigi. “La Francia, e per bocca del suo presidente, ha archiviato per sempre la stagione della Françafrique, e non può certo pensare di riproporre un modello coloniale ormai sconfitto dalla storia. L’Italia non può illudersi di coltivare ambizioni che, alla prova dei fatti, rischierebbero di rivelarsi  velleità. Prudenza, dunque”.

Qualcuno l’ha ritenuta perfino eccessiva, la prudenza di Antonio Tajani e Guido Crosetto, e forse neppure solo prudenza: quasi una fretta di legittimare la giunta militare. “L’Italia ha un nutrito contingente militare, a Niamey: la cautela è sacrosanta. E d’altronde in questa fase la prova di forza dei golpisti e gli ultimatum dell’Ecowas si sono risolti in un impasse. Ma la prudenza della diplomazia non deve apparire come il preludio al cedimento, né come un’ammissione d’impotenza: non possiamo pensare, e non dobbiamo permettere che i golpisti se ne convincano, che ormai la deposizione del presidente Bazoum sia cosa fatta”.

Senza neppure, tuttavia, rischiare che gli accidenti precipitino verso un conflitto armato. “Va escluso. E al momento non pare semplicemente sostenibile, come ipotesi”. Giovedì scade il nuovo ultimatum dell’Ecowas. “La Nigeria, che dell’Ecowas è il leader di fatto, è spaccata: il presidente Tinubu s’è visto bocciare la proposta di un intervento militare dal Senato. Il presidente del Ciad ha escluso il ricorso alle armi. Mali e Burkina Faso hanno annunciato che considererebbero qualsiasi intromissione bellica dell’Ecowas come una dichiarazione di guerra. E poi c’è l’Algeria, che è un attore  sottovalutato, in questa partita”. 

L’Algeria? “Un rebus, in un certo senso. Uno dei paesi africani con maggiori legami con Mosca: i quadri dell’esercito algerino hanno studiato nelle accademie militari russe, e russo è pure il 75 per cento delle armi in dotazione a quell’esercito. Ma anche un paese che ha stretto relazioni importantissime con la Cina durante l’epidemia del Covid – non a caso ad Algeri si produce il vaccino Sinovac – e che ha chiesto, e preliminarmente ottenuto, di entrare a far parte dei Brics, l’alleanza che oltre a Russia e Cina coinvolge anche Brasile, India e Sudafrica. Come se non bastasse, l’Algeria è il principale fornitore africano di energia per l’Europa, e segnatamente per l’Italia. E’ insomma un paese che ambisce a diventare grande, pur restando fedele alla sua tradizione di ‘non allineato’. Un conflitto alle porte di casa costringerebbe l’Algeri a schierarsi, e difficilmente in questa fase Algeri accetterebbe di schiacciarsi su posizioni smaccatamente filo occidentali”. 

Dunque il sentiero è stretto. “E’ il sentiero della diplomazia. E l’Europa, insisto, deve percorrerlo. Bruxelles deve affermare il principio per cui l’Unione europea e quella africana camminano insieme. Con le dovute proporzioni, quello che succede a Niamey è importante, per la definizione dell’ordine globale, quanto quello che accade a Kyiv. E per certi versi, in effetti, è così. Il Niger è decisivo non solo, e già sarebbe comunque una cosa fondamentale, perché è una democrazia, pur con tutti i limiti del caso, con un presidente democraticamente eletto la cui deposizione viola in maniera clamorosa il diritto internazionale. Ma in Niger si giocano anche partite decisive nella lotta al terrorismo. Per non dire della gestione dei flussi migratori e delle dinamiche legate alle risorse naturali ed energetiche”. 

Forse la Russia l’ha capito meglio dell’Europa? “Il golpe ha origini endogene, il Cremlino non avrebbe le forze per organizzarlo. Ma certo nell’instabilità crescente Putin sa che può aumentare il suo peso negoziale, e prolungare la sua illusione di proporsi come il leader di una superpotenza mondiale. E l’Africa è un campo da gioco fondamentale, in questa sfida, anche perché lì la Russia può sfruttare il ricordo ancora vivo a quelle latitudini del ruolo dell’Urss come potenza sostenitrice dei movimenti di liberazione anticoloniale. Dunque riesce a infiltrarsi efficacemente nel caos: questo è successo in Mali e in Burkina Faso, ed è successo nella Repubblica Centraficana. Se anche il Niger segue la stessa dinamica, finiremo col ritrovarci un’area di diretta influenza russa che va dall’Atlantico al Mar Rosso: e se non vale questa prospettiva drammatica a far svegliare l’Europa, mi chiedo cosa possa valere”.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.