problemi di metodo
Banche e Meloni. Nel Pd c'è chi non s'accontenta della linea Schlein
Di fronte al pastrocchio bancario del governo Lorenzo Guerini commenta: "Il tema non è che sia sbagliato intervenire ma che è sbagliato intervenire così in maniera improvvisata e pasticciata"
Bisogna dunque rassegnarsi a morire rossobruni? Arrendersi all’idea di convergenze impossibili, se non nella comune accettazione del verbo populista? Nel Pd c’è chi se lo chiede, se la linea dettata da Elly Schlein e messa a verbale da Antonio Misiani (“Meglio tardi che mai!”) sul pastrocchio bancario del governo non sia un poco miope: ammettere che la destra fa quel che la sinistra dice di dover fare, e che Giuseppe Conte, peraltro, rivendica non a torto di aver invocato per primo? Sicuri sia una grande mossa? Lorenzo Guerini qualche dubbio ce l’ha, in effetti. “Il tema non è che sia sbagliato intervenire ma che è sbagliato intervenire così in maniera improvvisata e pasticciata. Tanto che al momento è ancora tutto incerto dopo un giorno e mezzo di continue correzioni comunicative da parte del governo”, spiega l’ex ministro della Difesa schierato ora a difesa del fronte riformista del partito.
Ed è, la sua, la stessa obiezione avanzata in verità anche da Matteo Orfini, bonacciniano pure lui ma più a sinistra. “Io penso che il tema esista e il principio di un contributo di chi ha fatto extra profitti non sia sbagliato, specie se si punta ad alleggerire il peso dei muti per le famiglie. Però appunto dipende da come la fai”. Problema di metodo, dunque, anche qui. Che però non è problema di poco conto. “Perché su questi temi così delicati la forma è sostanza”, dice Piero De Luca, “e varare un provvedimento del genere senza consultare il settore bancario rivela un misto di arroganza e dilettantismo. Un po’ come i tagli ai progetti del Pnrr in capo ai comuni decisi senza confrontarsi prima coi comuni”. Non solo. “Il rischio che si inneschi un circuito perverso per cui si spaventano gli investitori in titoli, le banche faticano a finanziarsi e scaricano le difficoltà esattamente su quelli che vorremmo aiutare è concreto”, prosegue Orfini.
E certo qui si scontrano due opposte convenzioni su come reagire alle mosse di una premier che, in ossequio forse all’istinto demagogico del sovranismo o forse alle sue ambizioni di “destra sociale”, gioca spesso “a fare la sinistra”. Come fu con la tampon tax, per dire. E insomma c’è chi, come Andrea Orlando, rivendica la giustezza delle istanze progressiste nell’evidenziare come il governo Meloni accetti di assecondarle (per cui, dopo le banche, bisogna rilanciare: e dunque pure gli extraprofitti di Big Pharma, e delle società energetiche, e quelle della logistica), e chi, invece, contrappone alla rinnovata furia populista della destra il vessillo della responsabilità. Che è poi l’approccio suggerito dall’europarlamentare Irene Tinagli in un’intervista a La Stampa di ieri: “L’intervista del giorno”, la definisce Filippo Sensi, come a volersi schierare. “Del resto le parole di Fazzolari – nota il senatore dem – rivelano la natura ideologica di questo provvedimento, gestito con incredibile sprovvedutezza e senza calcolarne gli effetti. Dilettantismo e populismo tanto al chilo”. Stessa linea di Guerini. “Che la norma elaborata sia molto confusa nel merito e completamente sbagliata nel metodo lo dimostra il fatto che il Mef è dovuto poi intervenire per correggerla”, spiega il presidente del Copasir. “Che non porterà alcun beneficio a chi ha oggi un mutuo a tasso variabile è il testo stesso del decreto a chiarirlo. E vedremo poi – insiste Guerini – quale sarà il gettito reale. Insomma, un discreto esercizio di pressappochismo”.