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L'editoriale del direttore

Quando tutto diventa “strategico”. Che cosa c'è dietro alla prevalenza dell'aggettivo nelle parole di Meloni & co.

Claudio Cerasa

Ci vuole strategia per coprire le fesserie sovraniste del passato: più l’imbarazzo è forte e più lo "strategico" fa capolino nel racconto della premier. E così si è dovuto aggiornare il vocabolario del perfetto sovranista

Un tempo era tutto sovrano, oggi è tutto strategico. Nello spassoso vocabolario preso in prestito allegramente dalla maggioranza di centrodestra c’è una parola che negli ultimi mesi ha fatto capolino con una certa frequenza negli interventi dei più importanti ministri del governo. E’ una parola apparentemente neutra, ma dietro la quale si indovina una storia che rappresenta uno dei grandi fili conduttori di questa pazza esperienza di governo. Un tempo era tutto sovrano, oggi è tutto strategico. Dal giorno del suo insediamento come presidente del Consiglio, Giorgia Meloni non fa altro che usare questa parola: strateggico. La usa con insistenza, la usa in modo reiterato e la usa ormai senza imbarazzi. Nel mondo di Meloni, oggi, è tutto strategico. E l’utilizzo di questa parola – che sta alla premier, e ai suoi ministri, più o meno come il “ma anche” stava a Walter Veltroni, più o meno come le “interlocuzioni con” stavano a Giuseppe Conte, più o meno come il “Yes because” stava a Matteo Renzi, più o meno come il “diciamo” stava a Massimo D’Alema – ha un significato importante, stavamo per scrivere strategico, ed è un significato che risulta autoevidente se si mettono insieme alcuni puntini.

Sulla rete unica, si legge nel comunicato diffuso dal Mef la scorsa settimana, l’obiettivo del governo resta “il controllo strategico della rete”, qualsiasi cosa voglia dire (non semplice per i sovranisti dover trovare un modo per giustificare la vendita a investitori stranieri della rete dopo aver promesso di voler nazionalizzare ogni infrastruttura… strategica). “Tra Italia e Stati Uniti”, ha detto Meloni dopo la visita alla Casa Bianca, dal democratico Biden, durante la quale i due hanno discusso, come detto da Meloni, degli “interessi strategici comuni”, “vi è una solida alleanza strategica, che è stata ribadita e rafforzata”. Sulle grandi nomine, Meloni ha rivendicato di aver trovato “un giusto equilibrio per posti strategici”, anche per giustificare alcune scelte a sorpresa fatte in continuità con i governi precedenti. Sul Pnrr, questa volta la voce è di Raffaele Fitto, non ci saranno problemi perché alcuni “investimenti strategici” sono stati dirottati sul RepowerEu, “che ha una sua strategicità”. Sui taxi, ha detto il ministro Adolfo Urso, che punta a introdurre un po’ di concorrenza in più nel settore, parola tabù per i sovranisti, “il governo sta varando una riforma strategica, per portare maggiore efficienza e trasparenza”. Sull’Europa, è essenziale portare avanti “una strategia a lungo termine di sostegno finanziario alla competitività nella forma di un fondo per la sovranità europea volto a sostenere gli investimenti strategici”, e d’altronde quando devi chiedere all’Europa di fare più debito per sostenere paesi molto indebitati come l’Italia non puoi fare a meno di dire che quella opzione è ovviamente strategica. E il Piano Mattei, cos’è? Ovviamente “un obiettivo strategico”. E con il premier uscente spagnolo Pedro Sánchez su cosa ha trovato punti di convergenza l’Italia? Ovviamente sul rafforzamento di un “parternariato strategico”. E le revisioni del Pnrr su che basi vengono fatte? Ovviamente, per “compiere scelte strategiche”. E il rapporto con l’Europa e con la Nato su che basi si andrà a rafforzare? “Sulla base di un partenariato strategico che lega Unione europea e Nato”. E per ottenere maggiore flessibilità sull’Europa qual è la strada? Quella di – e qui siamo di fronte a un piccolo capolavoro – lavorare “a un portale di sovranità che non solo ha come obiettivo semplificare le informazioni e le procedure per i finanziamenti europei, ma concede flessibilità nell’uso dei fondi europei per favorire e finanziare gli investimenti nei settori strategici” (sovranità e strategicità insieme: what else?). E ancora: cosa deve fare la riforma della governance europea? Ovvio: “Deve garantire la protezione degli investimenti nei settori strategici”. E infine: la svolta sui migranti, in Europa, è dettata dalla volontà di costruire, insieme con l’Unione, “un partenariato strategico”: un rapporto diverso tra paesi europei e paesi nordafricani (e d’altronde quando rinunci alle tue idee, quando rinunci al blocco navale, quando tradisci i rapporti con i paesi amici come la Polonia, quando inizi a collaborare con le odiate Ong, non puoi non trovare una ragione più alta, strategica, per nascondere i tuoi cambi di rotta).

I pensieri strategici permettono a Meloni di identificare delle aree franche dove poter dialogare anche con gli avversari, dandosi un tono, senza sporcarsi le mani, senza dover creare convergenze imbarazzanti, senza dover rimettere in discussione il proprio credo politico. E più l’imbarazzo è forte e più lo strategico fa capolino nel racconto della premier.

Prendete il caso della conferenza stampa congiunta fatta con Emmanuel Macron all’Eliseo, qualche mese fa. Per Meloni, trovare punti di contatto con Macron non era semplice, gli attriti tra la cultura nazionalista e quella europeista sono infiniti, e così la premier italiana si è rifugiata lì, nella sua comfort zone. Tutto strategico (e tutto in soli 5 minuti e mezzo). “A Bruxelles, il rapporto con la Francia si consolida attraverso la difesa della sovranità strategica sulla quale spesso ci siamo trovati d’accordo”. Un secondo dopo: “Ci troviamo entrambi esposti nelle nostre produzioni strategiche”. E ancora, un attimo dopo, sul G7 che l’Italia ospiterà: “Per noi sarà strategico in tema di rapporto con Mediterraneo”. E sulle sfide legate al futuro? “La transizione digitale e ambientale sono cruciali per il raggiungimento di una piena autonomia strategica”. E ancora: “Vorrei infine concentrarmi sulla cooperazione nel settore della difesa, un’assoluta eccellenza a livello strategico”. E infine: “La sfida dell’Eurozona oggi è l’economia strategica della difesa”. E per il domani? “Nella nuova governance europea, gli investimenti sulle materie strategiche non possono essere considerati come tutti gli altri”. E sull’energia? “E’ tempo di raggiungere gli obiettivi senza precludere quello che le nostre aziende strategiche sono in grado di fare”.

La proliferazione del pensiero strategico quando non è un’uscita dettata dalla modalità Antani (supercazzolismo strategico) e quando non è un’uscita dettata dalla volontà di giustificare la prevaricazione dello stato sul mercato (cosa che quando si parla per esempio di Golden power è molto pericolosa: la discrezionalità con cui si considera strategica un’azienda porta potenzialmente a considerare come non cedibile qualsiasi azienda) segnala alcune questioni interessanti. Ogni tanto nasconde un imbarazzo. Alcune volte mostra un tentativo di colmare distanze con i propri interlocutori. Altre volte mostra un tentativo di costruire ponti con mondi diversi dal proprio. In qualche occasione mostra uno sforzo da parte della premier di nascondere deviazioni della propria traiettoria politica. Ma più in generale, nel vocabolario del perfetto sovranista, prestare attenzione al numero di volte che viene utilizzata l’espressione strategica/o può essere utile a misurare quante volte il sovranista, di fronte all’azione di governo, è costretto a prendere atto, in modo strategico e con qualche imbarazzo, delle numerose e poco strategiche fesserie dette nel recente passato.

In attesa di un pensiero stupendo ci si può accontentare di un pensiero strategico.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.