l'editoriale del direttore

Quello sull'ambientalismo non è greenlash, è realismo

Claudio Cerasa

In Olanda il Partito dei contadini sfida il padre del Green deal, Berlino e Londra frenano su una transizione troppo costosa. Le politiche ambientali sono destinate a diventare uno spartiacque ideologico, un terreno di conflitto tra due estremisti contrapposti

Alcuni lo chiamano “greenlash”. Altri lo chiamano semplicemente bagno di realtà. In entrambi i casi, però, il risultato coincide con quello che si sta manifestando, ormai da mesi, in giro per l’Europa: un silenzioso, carsico e costante ridimensionamento dell’ideologia ambientalista veicolata dall’Unione europea. E’ un tema enorme, divisivo, corrosivo, ed è un tema che prenderà forma, in modo rotondo, nelle prossime ore: quando l’Olanda, dopo l’addio di Mark Rutte, sarà il teatro di una sfida estrema. Da un lato, il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans, l’uomo del Green deal, che annuncerà la sua candidatura ufficiale tra pochi giorni alla guida del fronte progressista. E dall’altro, invece, il Partito dei contadini olandesi (Bbv). Da un lato, dunque, c’è il grande ideologo della transizione energetica, la transizione basata su regole dure costruite, costi quel che costi, per permettere agli stati membri di ridurre le emissioni di gas serra del 55 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e di diventare climaticamente neutrali entro il 2050.

E quando si dice costi quel che costi lo si intende in modo letterale: se l’emergenza climatica è incombente, devastante, travolgente, le misure adottate non possono che essere radicali, a loro volta travolgenti, e se le misure diventano radicali è evidente che l’impatto che quelle misure possono avere sull’economia, il benessere, l’industria e l’occupabilità di un paese diventa quasi secondario. Dall’altro lato, invece, c’è uno dei fenomeni politici più interessanti emersi in Europa negli ultimi tempi. Un partito nato da istanze populiste ma che sarebbe un errore bollare come semplicemente frutto di una nuova ondata di populismo. Il Partito dei contadini è entrato nel 2021 in Parlamento con un seggio. Alle elezioni locali, a marzo, sono arrivati al 19 per cento. E sono divenuti famosi in Olanda all’indomani di una scelta molto discussa e molto divisiva fatta dall’ex premier Rutte, che aveva preso l’impegno di dimezzare, entro il 2030, le emissioni di azoto del paese. Sottovalutando però il fatto che gran parte dell’azoto che inquina suolo e acqua, in Olanda, viene dagli escrementi del bestiame e che per dimezzare l’azoto gli agricoltori avrebbero dovuto ridurre di un terzo gli animali allevati e chiudere circa 11.200 allevamenti. Un disastro.

 

Può sembrare una storia locale, isolata, peculiare, ma lo scontro tra gli integralisti del modello Green deal (difendere l’ambiente costi quel che costi senza preoccuparsi dell’impatto delle politiche a favore dell’ambiente) e gli integralisti del modello anti Green deal rischia di diventare il nuovo terreno su cui si andranno a confrontare le istanze politiche del futuro. E qualcosa, anche nel presente, inizia a essere cambiato. In Inghilterra il primo ministro Rishi Sunak, il mese scorso, ha messo in guardia gli elettori contro le politiche climatiche che “danno alle persone più problemi e più costi inutilmente”, alcuni giorni dopo la vittoria elettorale (inaspettata) conquistata dai conservatori nel seggio di Uxbridge dopo essersi opposti ad alcune tasse sui veicoli più inquinanti (Sunak ha poi indignato gli ambientalisti affermando che il suo governo rilascerà centinaia di nuove licenze per petrolio e gas per il Mare del Nord se verrà rieletto). In Polonia il governo ha presentato alcune denunce alla Corte di giustizia contro la scelta Ue di vietare veicoli a combustione dal 2035. In Germania, il governo ha ammorbidito i termini di una graduale eliminazione dei veicoli a combustione interna sotto la pressione dell’industria automobilistica.

E sempre in Germania, il partito dei Verdi, che fa parte della coalizione di governo ed è, naturalmente, il più forte sostenitore della transizione, sta perdendo rapidamente il favore degli elettori, mentre l’AfD, fortemente critica nei confronti della transizione, sta guadagnando popolarità (la rabbia per le iniziative volte a ridurre il numero di auto nelle strade delle città-stato di Berlino e Brema ha trovato sostenitori persino tra i Verdi nelle elezioni statali di quest’anno). I leader di Francia e Belgio, il presidente Emmanuel Macron e il primo ministro Alexander De Croo, hanno recentemente sollevato il tema di una pausa nella legislazione sul cambiamento climatico (Macron, quattro anni fa, ha dovuto affrontare un’ondata di dure proteste, organizzate dai gilet gialli, contro l’aumento dei prezzi del carburante). 

Al contrario di quello che si potrebbe credere, però, l’ondata di greenlash (frustata contro il verde) non dipende da una recrudescenza populista ma è il risultato del fatto che molte persone, come ha notato Cnbc citando un sondaggio sul tema pubblicato dalla testata americana a fine luglio, “stanno iniziando solo ora a sentire i costi della transizione sui propri portafogli”. In alcuni paesi europei, le discussioni attorno all’ambiente hanno assunto un tono estremista. E i temi legati alla transizione ecologica sono diventati un’occasione utile per ricordare ai propri follower la bontà delle proprie tesi. Le forze più vicine alla sinistra, in modo poco lungimirante, hanno trasformato le politiche ambientaliste in un’occasione utile per far vivere i propri convincimenti, per mostrare la bontà delle proprie idee e per affermare la supremazia ideologica delle proprie tesi. Con l’ambientalismo, così, si cerca di promuovere un nuovo senso di giustizia sociale, ricordando con tono punitivo che, a fronte di un’emergenza destinata a spazzarci via dalla terra, non si può più perdere tempo nell’assunzione di alcune certezze: il capitalismo è pericoloso, il mercato è malefico, un’ulteriore espansione dello stato è necessaria, i ricchi devono essere tassati di più perché sono quelli che inquinano di più e chiunque non riconosca questi assunti è, molto semplicemente, un negazionista, illiberale, fascista.

Dall’altra parte, in modo speculare, le forze più vicine alla destra, in modo altrettanto poco lungimirante, hanno trasformato le politiche ambientaliste in un’occasione utile per affermare un concetto simmetrico: la sinistra vuole utilizzare l’ambiente per affermare le sue idee, per trasformare i suoi diktat in principi non negoziabili, e combattere le idee ambientaliste, dunque, significa difendere il nostro futuro e la nostra libertà, dal pensiero unico, totalitario, veicolato dalla sinistra stalinista, provando a usare il tema ambientale per fare cappotto e dimostrare così che l’approccio paternalistico, sponsorizzato dalla sinistra, è sempre sbagliato, sempre dannoso, sempre letale, sempre truffaldino (sintesi estrema: vi hanno fottuto con il Covid, costringendovi a vaccinarvi, non fatevi fottere anche sul clima, accettando di essere costretti a rinunciare al vostro benessere a causa di problemi minuscoli ingigantiti dalla sinistra). In entrambi i casi, come è evidente, nessuno dei due approcci è tarato per promuovere politiche né utili né drammatiche. E in nessuno dei due approcci è presente quel metodo pragmatico suggerito da Francesco Rutelli nel suo libro “Il secolo verde” (edizioni Solferino): “Essere promotori di una politica globale per il clima capace di cambiare i processi internazionali, dimostrando che questa politica porta vantaggi alla popolazione europea, in termini economici, ambientali, di salute e occupazionali, nella consapevolezza che un ambientalismo adulto può funzionare solo a condizione che sia messo al servizio non solo delle esigenze future, ovvero sia la tutela dell’ambiente, ma anche del presente, ovvero sia la tutela del benessere e dei posti di lavoro”. Le politiche ambientali sono destinate a diventare uno spartiacque ideologico, un terreno di conflitto tra due estremisti contrapposti, e le elezioni in Olanda sono lì a segnalarci alcuni temi cruciali. La destra sbaglia a considerare populista ogni scelta green finalizzata a combattere il riscaldamento climatico. La sinistra sbaglia a considerare populista ogni ribellione finalizzata a mettere in mostra i limiti delle politiche ambientaliste.

 

L’Olanda metterà in luce i due metodi opposti. Ma la battaglia contro il populismo modello BBv è diversa dal passato. I populisti di oggi intercettano una domanda che esiste, reale e non populista, di chi sostiene che la transizione verde, senza un ritorno economico, senza attenzione al lavoro, senza rispetto del benessere di un paese, è una transizione pericolosa, autolesionista. Certo: è populista chi nega che sia necessario prendere dei provvedimenti per governare le emissioni di CO2 e ridurle. Ma siamo sicuri che lavorare alle politiche ambientali facendo leva sulle regole senza considerare gli impatti delle regole sul benessere di un paese sia davvero un inno al populismo? Le politiche green hanno ridisegnato l’Europa. Il greenlash sta ridisegnano la politica. Ma i confini tra buon senso e populismo sono difficili da individuare con nettezza sul terreno di gioco. E continuare a considerare l’emergenza climatica una battaglia da combattere “costi quel che costi” alla fine rischia di generare l’effetto opposto rispetto a quello desiderato: portare altra acqua al mulino dei partiti populisti. 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.